Oltre 74 miliardi di euro di sprechi. Che si potrebbero ridurre di almeno 23, più o meno la cifra che serve al governo per la prossima legge di Stabilità, se tutte le Regioni spendessero come la più virtuosa. Mentre il commissario alla spending review Yoram Gutgeld, affiancato da Roberto Perotti, lima il piano per tagliare di 10 miliardi il prossimo anno le uscite dello Stato, l’ufficio studi di Confcommercio ha diffuso una ricerca che stima in 176,4 miliardi la spesa per i servizi pubblici locali. Di cui 74,1, appunto, in eccesso rispetto a quanto sarebbe necessario per garantire ai cittadini esattamente lo stesso livello di prestazioni a cui hanno accesso i residenti in Lombardia, a cui secondo lo studio spetta la palma per la maggiore efficienza.
Il risparmio finale ottenibile si ferma a 23 perché la differenza, 51,2 miliardi, dovrebbe essere reinvestita per migliorare qualità e quantità dei servizi nelle altre aree del Paese. Un’operazione senza dubbio complessa, ma il cui risultato sarebbe, appunto, ritrovarsi in cassa risorse sufficienti per disinnescare le clausole di salvaguardia su Iva e accise, rinnovare i contratti degli statali e gli sgravi contributivi per i neo assunti e iniziare a ridurre le tasse sulla casa come promesso dal premier Matteo Renzi. Lo sa bene anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che alla presentazione del rapporto ha detto che il taglio delle tasse “è efficace se è credibile ed è credibile se è permanente, e per esserlo deve derivare da tagli di spesa” per i quali “c’è un enorme potenziale con un’allocazione di risorse più efficiente”. Va detto per completezza che il governo sta iniziando a intervenire su più fronti, dalla razionalizzazione delle partecipate locali alle Camere di Commercio, di cui il ddl di riforma della pa prevede il dimezzamento. E il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli è anche presidente della Camera di Commercio di Milano.
Prendendo in considerazione 19 indicatori di qualità e quantità dei beni e servizi pubblici garantiti ai dirigenti, Confcommercio ha messo a punto un indicatore sintetico del “prodotto” della pubblica amministrazione delle venti regioni italiane. Ne risulta che la Lombardia è al primo posto, con un indice pari a 1, seguita da Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. In fondo alla classifica c’è invece la Sicilia, con 0,30. Tutte le regioni del Sud registrano valori inferiori a 0,6, con l’eccezione della Sardegna a 0,72. Mettendo in relazione l’indicatore con la spesa pro capite, i ricercatori hanno poi calcolato quanto dovrebbe costare, in ogni regione, il “pacchetto” di beni e servizi per il quale la Lombardia spende 2.579 euro a testa.
Nel Sud, per esempio, sarebbe possibile risparmiare in media 1.859 euro annui a testa per ottenere la stessa quantità e qualità di assistenza medica, trasporti, scuole eccetera. Questo perché in molte regioni meridionali la popolazione riceve meno servizi e subisce molte più disfunzioni. “In Calabria il 30% e oltre delle famiglie dichiara irregolarità e interruzioni nel servizio di distribuzione dell’acqua potabile”, si legge nel rapporto, “contro meno del 4% in Lombardia”. Ma le spese potrebbero essere tagliate di molto anche nelle Regioni a statuto speciale, dove la qualità è “generalmente eccellente” ma i costi “straordinariamente più elevati”: in media il 35,6% in più. L’eccesso di spesa, a parità di output, è calcolato in questo caso in 2.400 euro annui.
Sangalli ha auspicato che il governo utilizzi 8 miliardi sui 23 di potenziali risparmi per intervenire sull’Irpef, riducendo già dal 2016 ognuna delle cinque aliquote di un punto percentuale in modo da ridurre una pressione fiscale “insopportabile per le famiglie e le imprese e incompatibile con qualsiasi realistica possibilità di crescita del Paese”.