Per i giudici l'attentato fu di matrice ordinovista e fu ispirata da Maggi, medico veneziano, allora ispettore dell'organizzazione neofascista condannato insieme a Tramonte, ex Fonte Tritone dei servizi segreti. Il presidente dell'Associazione familiari delle vittime: "La sentenza impone una profondissima riflessione su quegli anni dal 1969 al 1974"
I giudici della Corte di assise di appello di Milano hanno condannato all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte per la strage di piazza della Loggia a Brescia. La sentenza impone una “profondissima riflessione su quegli anni dal 1969 al 1974” ha detto il presidente dell’Associazione Familiari vittime di piazza della Loggia, Manlio Milani. Dopo 41 anni di indagini e processi c’è un punto fermo: quella strage fu di matrice ordinovista e fu ispirata da Maggi, medico veneziano, allora ispettore di Ordine Nuovo per il Trivenento condannato insieme a Tramonte, ex Fonte Tritone dei servizi segreti.
Erano le 10.12 del 28 maggio 1974 quando in piazza della Loggia, cuore del dibattito politico di Brescia, durante una manifestazione antifascista dei sindacati una bomba provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 100. Da quel giorno i magistrati bresciani non hanno mai smesso di indagare per individuare la mano che pose l’ordigno e l’ultimo processo, scaturito dalla terza inchiesta, riguarda un gruppo di ex ordinovisti veneti, già coinvolti ma poi usciti di scena nei procedimenti sulle stragi milanesi di piazza Fontana e della Questura, e il generale Francesco Delfino, il primo a indagare sull’eccidio quando era a capo del Nucleo operativo dei carabinieri. Fu proprio Delfino a indirizzare le prime indagini su un gruppo di neofascisti e di balordi bresciani imputati nel primo processo.
Una storia processuale lunga 41 anni quella sulla strage di Piazza della Loggia, una mattanza che si inserisce nella strategia di destabilizzazione pianificata da frange dell’eversione nera che trovarono sostegno e protezione da parte di settori deviati dei servizi segreti. La prima sentenza arriva nel ’79, quando i giudici della Corte d’assise di Brescia condannano all’ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni Angelino Papa mentre assolvono gran parte delle 16 persone entrate nell’inchiesta. Buzzi però non riuscirà ad ascoltare la sentenza in secondo grado: viene ucciso nell’81 nel carcere di Novara dai “camerati” Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. Nell’82 arriva la sentenza di appello che ribaltato tutto. Assoluzione. La Cassazione però annulla la sentenza e ordina un nuovo processo. Le indagini trascinano sulla scena nuovi protagonisti: Cesare Ferri, il fotomodello Alessandro Stepanoff e Sergio Latini. La nuova pista è aperta dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti tra cui Angelo Izzo, uno dei mostri del Circeo. E’ l’84. Nell’87 la Cassazione conferma le assoluzioni arrivate in appello. Nuovo processo e nuova assoluzione confermata dalla Cassazione e nell’89 i tre escono definitivamente di scena. Nel ’93 inizia la terza inchiesta. Per avere un primo verdetto si deve aspettare però il 2010. I giudici della Corte d’assise di Brescia assolvono tutti i cinque gli imputati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti). Due anni dopo la sentenza viene confermata in secondo grado. Ma nel 2014 la Cassazione stabilisce che devono essere approfondite le posizioni di Maggi e Tramonte per i quali è arrivata la condanna.
“L’esito è il premio per un impegno, quello della Procura di Brescia, che non è mai venuto meno in tanti anni” ha dichiarato il giudice di Milano Guido Salvini, autore delle inchieste sulle trame nere. “Se la Procura di Milano avesse fatto altrettanto – ha aggiunto – credo che sarebbe stato possibile andare anche per piazza Fontana al di là di quella responsabilità storica che comunque le sentenze hanno accertato in modo indiscutibile nei confronti delle stesse cellule di Ordine Nuovo al centro del processo per Piazza della Loggia”.
“E’ sempre brutto sentire la parola ergastolo, ma questa decisione tiene aperta la speranza e ora abbiamo anche una verità giudiziaria, oltre che una verità storica”, ha aggiunto il presidente Milani.