Fermati un cittadino tunisino di 35 anni e un pakistano di 27. Postavano tweet di minacce sullo sfondo di luoghi simbolo di Roma e Milano. L’accusa contestata è di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale. Tra gli obiettivi anche la base nel Bresciano, oltre all'azienda in cui lavorava uno dei due. Entrambi, consapevoli di non essere militarmente addestrati, volevano partire per la Siria
Sostenevano l’Isis facendo propaganda online e postando su Twitter minacce all’Italia, scritte su foglietti tenuti in mano e fotografati sullo sfondo di alcuni luoghi simbolo di Milano e Roma, dal Colosseo al Duomo fino alla stazione del capoluogo lombardo. L’obiettivo: mettere a punto attentati in Italia. E per questo pensavano di addestrarsi militarmente “in territorio siriano”. Un tunisino di 35 anni, Briki Lassaad, e un pakistano di 27, Muhammad Waqas, sono stati arrestati dalla polizia a Brescia nell’ambito dell’operazione “Bay’a” (ossia la fedeltà dichiarata dagli arrestati allo Stato islamico), con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo. In particolare, puntavano a colpire la base militare di Ghedi, nel Bresciano, – considerato un luogo fortemente simbolico – e altri obiettivi nella stessa provincia, inclusa l’azienda in cui lavorava il tunisino. Bersagli pensati anche per colpire anche l’economia locale e provocare danni che avrebbero avuto effetti anche sulle assicurazioni pubbliche (i due citano esplicitamente l’Inps).
Briki e Waqas avevano i documenti in regola e vivevano in Italia da anni e in particolare nella provincia della città lombarda, a Manerbio. Uno dei due risulta residente a Milano ma è domiciliato nella cittadina in provincia di Brescia. Lavoravano da anni nel nostro Paese: il pakistano come operaio e manovale e il tunisino in una ditta di alimentari, in particolare ortofrutta, nella quale era addetto alle pulizie. E, pur essendo stranieri, tra loro comunicavano in italiano, non avendo un’altra lingua comune in cui esprimersi.
A commentare le ordinanze di custodia cautelare – firmate dal gip Elisabetta Meyer – è intervenuto anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano che su Twitter ha scritto: “Nostro sistema controllo dimostra ancora una volta la sua efficacia #senzasosta”. E appena tre settimane fa, sempre in Lombardia, erano stati arrestati anche i famigliari di Maria Giulia Sergio, 28enne italiana di Inzago – in provincia di Milano – convertita all’Islam e diventata jihadista tra le fila dell’Isis in Siria.
Le minacce postate in rete – Dalle indagini condotte dagli uomini della Digos e dal servizio Polizia postale è emerso che già il 26 aprile il tunisino aveva creato su Twitter l’hashtag #IslamicStateinRom, che accompagnava messaggi di minacce a firma Islamic State circolati nei mesi scorsi sul social network. “Siamo nelle vostre strade. Siamo ovunque. Stiamo localizzando gli obiettivi, in attesa dell’ora X“, si leggeva in alcuni dei post, scritti a penna, in italiano, arabo e francese, su foglietti tenuti in mano e fotografati sullo sfondo di alcuni luoghi simbolo di Milano e Roma, dal Colosseo al Duomo alla stazione del capoluogo lombardo. E ancora: “O popolo di Roma, avete tre soluzioni, o accettare l’Islam o pagare Jezia o i nostri coltelli (Jihad), a voi la scelta!”, “Siamo i soldati di Allah” e “siamo uniti nella jihad”. In altre foto comparivano mezzi della polizia di Stato e della polizia locale, fermate della metropolitana, tratti autostradali e bandiere dell’Expo.
In un caso, sotto la scritta ‘Islamic State in Rome’ appare anche il nome di Omar Moktar. Si tratta di un leader di Al Qaeda, ma anche del cosiddetto ‘Leone del Deserto’, il famoso eroe nazionale libico che condusse negli anni ’20 la guerriglia anticoloniale contro gli italiani.
L’addestramento e la guerriglia urbana da videogame – Le indagini, scattate circa tre mesi fa, sono coordinate dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dal pm Enrico Pavone. Nel corso delle intercettazioni, si sono scoperti i possibili obiettivi dei due terroristi che hanno anche iniziato a svolgere una attività di autoaddestramento attraverso un manuale, “How to survive to the West (“Come sopravvivere all’Occidente”) – La guida dei Mujaheddin“, che circolava in rete e dava suggerimenti sul basso profilo da mantenere in quanto estremisti islamici e anche su come fosse “possibile realizzare attentati a costi limitati”. I due, ha spiegato Romanelli in conferenza stampa, “erano consapevoli di non avere un addestramento militare consolidato” e per questo inizialmente parlavano anche di volersi esercitare in Siria, dove avrebbero ricevuto anche denaro (“500/600 dollari) e una sposa.
L’addestramento, si legge nell’ordinanza, “contempla anche la preparazione fisica con allenamento costante (…) avendo come modello un famoso gioco della playstation (Assassin’s creed), che prepari il combattente allo sforzo fisico”. Per Waqas, infatti, bisogna “giocare giochi (…) un gioco famoso di playstation che bisogna vedere”, perché in futuro la “guerra sarà urbana”.
Partenza per la Siria, depistaggi e guerriglia urbana da videogame – I due, scrive il gip di Milano Elisabetta Meyer, parlavano di come raggiungere lo Stato islamico aggirando i controlli delle forze di polizia: Waqas pensava di prenotare un volo di andata e ritorno della Turkish Airlines (tecnica suggerita anche dal manuale per depistare, visto che il secondo ticket non sarebbe stato utilizzato per l’intera tratta) per il Pakistan, suo paese d’origine, per poi fare scalo a Istanbul, dove avrebbe chiesto un visto turistico. Spiega che, per evitare di attirare sospetti su di sé, si sarebbe informato sulle mete turistiche locali (come, ad esempio, la tomba del “padre della Patria” Ataturk) e non escludeva l’ipotesi di una crociera, visto che i controlli sui passeggeri presso gli scali portuali sono più blandi.
Briki invece anticipa di tagliarsi la barba (quella lunga è “tipica dei musulmani osservanti, quindi di molti radicali”), farsi un piercing o un tatuaggio in procinto della partenza. E valuta la possibilità di unirsi alle milizie dell’Isis presenti in Libia, in occasione di un viaggio per tornare nella sua madre patria, la Tunisia. A fine giugno, però, spiega di non volere più partire, e si concentra sulla possibilità di un attacco alla base di Ghedi. Nel suo Paese, peraltro, avrebbe “incontrato soggetti sicuramente contigui agli attentati commessi in Tunisia” ed era arrivato “in patria appena un giorno prima del massacro di Sousse“, dove il 26 giugno scorso in spiaggia sono state uccise 38 persone.
La base di Ghedi come obiettivo – In un’intercettazione del 21 giugno scorso Briki, parlando con Waqas, esprimeva in modo sempre più preoccupante la sua “forte determinazione a porre in essere azioni terroristiche” in Italia con un “interesse ossessivo” per la base militare di Ghedi (Brescia) e faceva ricerche on line con “focus” soprattutto sulle “tecniche per l’abbattimento di un aereo”.
Briki a fine giugno “ha deciso di non recarsi più nel Califfato ed afferma di voler compiere il jihad in Italia individuando definitivamente l’obiettivo delle proprie azioni nell’aeroporto militare di Ghedi“. A Waqas che gli chiede “vai in Libia?”, il tunisino risponde “no voglio andare a Ghedi”. La base è diventata per lui il “target”, scrive il gip, per “compiere il suo jihad”, tanto da chiedere “ripetutamente e con insistenza all’amico Waqas di condurlo, seduta stante, nei pressi dell’aeroporto per fargli verificare da vicino l’area (…) ed effettuare delle riprese utilizzando una telecamera di cui è munito”.
Waqas in quei giorni “esprime perplessità sulla capacità effettiva di attaccare la base e lo invita a cambiare obiettivo, ripiegando su target meno impegnativi perché meno vigilati: una caserma di carabinieri o addirittura una chiesa, provocando però il rifiuto del tunisino”, che si sente ormai “il prescelto a cui è stata conferita questa missione”. E nel corso delle loro conversazioni, i due parlavano di “vere e proprie bombe” senza “alcuna possibilità di interpretazione alternativa”.
Prima di cambiare idea sulla partenza per la Siria, Briki spiegava inoltre a Waqas di “voler compiere un’azione prima di partire dall’Italia per unirsi al Califfato“, ossia il “danneggiamento di macchinari” dell’azienda in cui lavorava o un incendio. Il giudice chiarisce che nella lunga intercettazione, Lassaad valuta “diverse possibilità” di azione: “dall’issare il vessillo nero su un edificio all’incendio della ‘Linea Verde’ di Manerbio, azienda ove in questo momento presta servizio per conto della ‘Pulitori ed Affini’, al danneggiamento dei macchinari che vi sono all’interno”. Altra ipotesi che avanza, spiega ancora il gip, “è quella di farsi concedere un mutuo per l’acquisto di una casa con l’intenzione di non estinguere mai il debito nel preciso proposito di creare un danno all’economia italiana”.
Alfano: “Il nostro sistema funziona” – “Abbiamo ottenuto un altro risultato positivo. Anche questa mattina si dimostra che il nostro sistema di prevenzione funziona”. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, intervenuto oggi alla presentazione del Piano nazionale per l’esodo estivo 2015, commenta così l’operazione di Brescia. “Gli arresti di questa mattina – rileva il responsabile del Viminale – sono l’ulteriore prova che il monitoraggio del web consente un’azione di prevenzione molto efficace. Noi ci battiamo ogni giorno per far sì che l’Italia sia un posto sicuro dove vivere anche se siamo consapevoli che nessun Paese è a rischio zero”. “Coloro i quali hanno intenzione di combinare qualcosa in Italia – conclude Alfano – sappiano con grande chiarezza che il nostro sistema funziona e fa di tutto per monitorare ogni profilo di rischio”.