La 17/a tappa, la Digne Les Baines-Pra Loup, ha visto il successo per distacco del corridore tedesco della Giant Alpecin. Lontano 32" l’americano Andrew Talansky del Team Cannondale-Garmin e 1'01" il colombiano Rigoberto Uran della Etixx-Quick Step. Quarto il francese Thibaut Pinot della FDJ. Tra gli uomini di classifica convincente Nairo Quintana, arrivato però in compagnia di Froome a 7'16" da Geschke. Vincenzo Nibali del Team Astana resta in gruppo fino a 500 metri dal traguardo, poi perde una decina di secondi dai primi due della generale. Il ciclista messinese è ora settimo in classifica
PRA LOUP. Non se ne abbia Alexis Tsipras. Qui al Tour de France la Germania continua a vincere, come nell’Unione Europea. Oggi, per la quinta volta. Anche in modo inaspettato. Un velocista di Berlino, infatti, conquista la prima grande tappa alpina, con il prestigioso arrivo in salita a Pra Loup, dopo una micidiale sequenza di colli e discese mozzafiato. Si chiama Simon Geschke, porta la barba come il suo capitano John Degenkomb che è il rivale di André Greipel e di Mark Cavendish, i re dello sprint. Simon ha ventinove anni, la faccia gaglioffa e simpatica di un marinaio…greco, è proprio un Ulisse del pedale, capace di inventarsi grimpeur in una delle tappe più simboliche, quella in cui quarant’anni fa vinse Bernard Thevenet, con Eddy Merckx in terribile crisi. Beh, ricordo che successe anche a Rik Van Looy andar forte in salita: il dominatore delle classiche negli anni Cinquanta e Sessanta fu premiato come migliore scalatore del Giro 1960. Nella tappa del Gavia passò per primo sui quattro passi dolomitici, l’anno dopo fu autore di una strepitosa prestazione nella tappa che si concludeva a Bormio. Scattò ai piedi del Monte Giovo, proseguì la fuga sulle rampe dello Stelvio, diventando maglia rosa virtuale. Uno strappo gli impedì l’impresa.
Del ciclista di una volta, il barbuto Geshke ha temperamento, tenacia e coraggio. Gli è capitato d’infilarsi nella grande fuga della giornata, come al solito movimentata da Peter Sagan. Alla fine, ha provato a lasciare la compagnia e ci è riuscito sulla salita del Col d’Allos, quota 2250 – la più alta del Tour. Ha scollinato per primo, e si è guadagnato il Trofeo dedicato alla memoria del fondatore del Tour, Henri Desgranges. Poteva bastargli. Invece no. Ha affrontato la più lunga e vertiginosa discesa del Tour, un piombare giù per quattordici chilometri, il precipizio sempre in agguato. Chiedere a Felice Gimondi che l’affrontò domenica 13 luglio del 1975. Allora, la partenza era stata data a Nizza, come oggi la discesa del Col d’Allos precedeva la salita a Pra Loup. A metà discesa, la vettura della Bianchi imbocca male una curva, chi guida perde il controllo della vettura che tira dritto verso il burrone. L’auto decolla, come i saltatori degli sci dal trampolino. Il volo si conclude più sotto, contro le rocce. A bordo ci sono Giancarlo Ferretti, il direttore sportivo della squadra e di Gimondi, e il meccanico Piero Piazzalunga. Miracolosamente i due sono vivi. Il meccanico se la cava con qualche ferita alle gambe, Ferretti sta peggio, ferite e contusioni multiple. Nel suo libro “Mi chiamano Sergente di Ferro” Ferretti scriverà: “Ho veramente visto la morte in faccia”. Per la cronaca, l’auto che non si è dissolta in quello spaventoso volo era una Peugeot 504.
Geshke vincitore a Pra Loup, a quota 1620 dopo un’arrampicata di oltre sei chilometri (e una pendenza media del 6,5 per cento…) non l’immaginava nessuno, nemmeno quelli della Giant-Alpecin per la quale corre. Eppure, nel 2008 gli è capitato – forse non a caso – di vincere la classifica degli scalatori al Grand Prix del Portogallo. In realtò, sino ad oggi, quello pareva un exploit isolato. Perché negli anni successivi si è segnalato piuttosto abile nelle corse di un giorno, ottenendo discreti piazzamenti. Ha un passato da pistard, nei velodromi ha combattuto per quattro anni, figlio d’arte giacché suo padre Hans-Jürgen ha disputato tre Olimpiadi per la DDR, con la maglia della nazionale di pista. Sull’ultima salita, Geschke junior ci ha messo il cuore, le gambe, l’anima, negli ultimi tre chilometri ha provato a cambiare ritmo – en danceuse dicono i francesi. Rubava l’aria all’aria aprendo la bocca come uno squalo, allungando la lingua ormai bianca per lo sforzo, pur di captare gocce d’acqua. Il temporale annunciato è arrivato mezz’ora dopo…Chapeau!
Poi c’è stata l’immancabile seconda corsa, quella dei migliori. Per farla breve, l’americano Tejay Van Garderen, il terzo della generale, si è ritirato a 75 chilometri dall’arrivo, vittima di un malessere che gli ha succhiato ogni energia. Nella discesa dal Col d’Allos, è caduto Alberto Contador e l’incidente gli è costato caro: ha perso 2 minuti e 10 da Valverde e 2’17” da Quintana. Vincenzo Nibali ha movimentato la corsa, aiutato dal fido Michele Scarponi: la sua azione ha sfilacciato i migliori. Nella temuta discesa dal Col d’Allos sono rimasti lui, Chris Froome, Alejandro Valverde e Nairo Quintana. Però Nibali non ha osato sfidare la sorte: via radio gli avevano detto che era caduto Thibaut Pinot e che era meglio non rischiare più di tanto. Una scelta strategica. Mancano tre tappe, una dietro l’altra, di salite e arrivi che possono sfracellare la classifica. Oggi Nibali ha dimostrato d’esserci, coi migliori, gli manca purtroppo lo spunto finale, l’accelerata devastante dello scorso anno. Quanto a Froome, è sempre più il freddo padrone della corsa. Mentre Quintana ogni tanto piazza qualche scatto, per sorprendere più i rivali al podio che la maglia gialla. Il colombiano ci ha provato un paio di volte sulla salita di Pra Loup, ha persino tentato di beffare Froome nella rampetta finale. Froome gli è arrivato ai mozzi. Nibali è rimasto sui pedali, perché andare in fuorigiri e scoppiare per pochi secondi? Ha lasciato scattare Valverde – detto “Balla verde” – che lo ha preceduto di otto secondi, ma il campione nazionale spagnolo ne ha beccati sette da Quintana e Froome. Dispetti. Punzecchiature. Il vero obiettivo di Valverde era umiliare Contador, rimasto attardato dalla caduta nella discesa del Col d’Allos. La rivalità tra i due è il sale di questo Tour.
Facciamo un po’ di conti. E di confronti: i distacchi spiegano lo stato delle cose. Al via da Dignes-les-Bains di questa cruciale diciassettesima tappa, la prima nelle Alpi del Sud, Nibali – ottavo in classifica generale – accusava 7 minuti e 49 secondi da Chris Froome, la maglia gialla, 4 minuti e 39 da Nairo Quintana, il secondo in classifica, 4 minuti e 17” dall’americano Tejay Van Garderen che è terzo, 3 minuti e 47” da Alejandro Valverde, 3 minuti e 24” da Alberto Contador, 2 minuti e 17” dall’inglese Geraint Thomas e un minuto e 26” dall’olandese Robert Gesink. La partenza era stata caratterizzata da un certo giustificato nervosismo dei corridori, furiosi con l’organizzazione per la sistemazione logistica, più di tutti proprio Contador: reduci da notti insonni, ospiti in alberghi di bassa categoria, per usare un eufemismo, spesso in camere minuscole senza aria condizionata. C’è chi ha sopportato temperature da vampate africane.
Il dramma di Van Garderen si consumava fin da subito. Chiedeva spesso l’intervento del medico di corsa. Dopo 61 chilometri di sofferenza l’americano aveva già perso due minuti e 36” dalla maglia gialla. Non serviva l’assistenza dei compagni Damiano Caruso e Rohan Dennis, l’australiano. Stoicamente, approfittando di un rallentamento del gruppo con la maglia gialla, Tejay rientrava nel gruppo della maglia gialla. Ma appena la strada ricominciava a salire verso il Col de la Colle Saint-Michele, Van Garderen si staccava inesorabilmente. Alle 15 e 06, l’ammiraglia della Bmc lo affiancava, lo precedeva, si fermava sul ciglio della strada. Van Garderen si fermava. Un ritiro con le lacrime agli occhi, a 75 chilometri dal traguardo di Pra Loup. Fine di un sogno che non potrà più sognare. Nel 2012 era stato il miglior giovane del Tour. Nel 2014, il quinto assoluto. Davanti, come per omaggio, la maglia gialla Froome rallentava e con lui tutti gli altri.
Il bilancio di Par Loup è, in fondo, lusinghiero per Nibali non tanto perché ha guadagnato un’altra posizione in classifica (frutto del ritiro di Van Garderen). Ma perché ha limitato i danni: ha perso 15 secondi da Quintana e Froome, 8 da Valverde. Ha tuttavia guadagnato però 55” su Thomas, un minuto e 9” su Gesink. Soprattutto ha sottratto a Contador 2 minuti e un secondo (segnalo lo svizzero Mathias Frank che risale la classifica ed è alle spalle di Vincenzo, staccato di 43 secondi). Bene sono andati i due eritrei al Tour. E’ la terza tappa consecutiva che Daniel Teklehaimanot s’infila nella fuga giusta: ora è 41esimo in classifica generale. Si è portato dietro Merhawi Kudus Ghebremedhin, che a dispetto del lunghissimo nome, è il più giovane corridore del Tour: ha appena ventun anni ed è 92esimo. In gara sono rimasti in 163, Lanterne rouge è il francese Sebastien Chavanel.
Lettura della situazione. Froome resta quello delle prime due settimane, non molla l’osso, cioè Quintana. Il quale bada a tener lontani chi mira al suo posto. Contador è sfortunato ma non ha le gambe del Giro. E’ alla portata di Nibali: “Per ora va bene così”, ha detto Vincenzo con la solita onestà autocritica, “i valori in campo sono questi”. Vive alla giornata. Nel mirino ha Thomas – l’alfiere di Froome – ottimo quarto della classifica: però tra i due c’è solo un minuto e mezzo. Il corridore della Sky oggi ha patito un poco, forse paga la brutta botta presa nella spettacolare caduta dell’altroieri. Anche Gesink è in flessione. Dunque, il quinto posto non è una chimera, e pure il quarto, se Contador non regge. Nibali sa che da domani bisogna insistere, resistere e soprattutto non desistere. Poi, chissà.
Ps.: sul Tour si è abbattuto un nubifragio, di quelli da film americani su Noè e l’arca del Diluvio universale. A Nibali, la pioggia piace. A tutti noi, ormai bolliti dalla canicola, pure.