Dopo la "sospensione della sospensione" decisa lo scorso 2 luglio, i giudici di Napoli danno ragione all'esponente Pd. Che commenta: "Soddisfatto, onore ai giudici". La sua richiesta accolta "provvisoriamente" in attesa del pronunciamento della Consulta sulla legge Severino. L'ordinanza: "Non vi è ragione alcuna per trattare più severamente gli organi locali rispetto a quelli nazionali, essendo se mai necessario il contrario"
Dopo aver “sospeso la sospensione” lo scorso 2 luglio, il Tribunale civile di Napoli si è pronunciato sul merito del ricorso del governatore eletto della Campania Vincenzo De Luca contro gli effetti della Legge Severino: ricorso accolto, De Luca resta presidente. La sospensione di De Luca a seguito di una condanna in primo grado per abuso d’ufficio percedente l’elezione, scrivono i giudici, “comporterebbe una lesione irreversibile del suo diritto soggettivo all’elettorato passivo, posto il limite temporale del mandato elettivo”. In sostanza, nessuno potrebbe “risarcire” De Luca del tempo perso se la Corte costituzionale, che si pronuncerà ottobre, bocciasse gli articoli della Severino alla base della sospensione. “L’applicazione della sospensione, nell’elevato dubbio di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate, comprimendo l’esercizio dell’elettorato passivo e del libero svolgimento del mandato elettorale, comporterebbe un danno non riparabile né risarcibile”. Da qui la “sospensione cautelativa del provvedimento” in attesa che i giudici costituzionali si pronuncino.
“Sono molto soddisfatto per la decisione”, ha commentato De Luca su Facebook. ”La grande sensibilità giuridica del collegio partenopeo ha ampliato i temi di dubbia costituzionalità rimessi al vaglio della Corte – afferma ancora De Luca – una bella pagina di giustizia a tutto merito della magistratura napoletana, cui rendo onore”.
La prima sezione del tribunale civile, presieduta da Umberto Antico, ha accolto dunque le richieste dei legali di De Luca, Antonio Brancaccio e Lorenzo Lentini, e ha trasmesso gli atti alla Consulta. La sospensione, che era stata disposta in applicazione della legge Severino con un decreto del presidente del Consiglio, era già stata congelata con un provvedimento d’urgenza ex articolo 700 del 2 luglio scorso dal giudice Gabriele Cioffi. Ora il Tribunale civile, in composizione collegiale, ha confermato tale decisione.
Ma quali sono i punti contestati della Severino, nella parte che disciplina gli amministratori locali? Secondo i giudici, nel 2012 il governo Monti è andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento di legiferare su ineleggibilità e decadenza – si era sull’onda dello scandalo Fiorito – quando ha esteso “la sospensione anche per le sentenze di condanna antecedenti la candidatura o l’assunzione della carica”, come appunto nel caso del governatore campano. L’esecutivo, allo stesso modo, “non poteva disattendere il limite imposto dalla legge delega estendendolo anche al caso di sentenza non definitiva di condanna”.
All’indomani della sentenza del 2 luglio, da Forza Italia e non solo si sono levati gli appelli a rivedere il caso di Silvio Berlusconi, per il quale il Senato votò la decadenza in seguito alla condanna definitiva per frode fiscale nel processo sui diritti tv di Mediaset. Il Tribunale di Napoli, però, ragiona all’opposto. La Severino è più dura con i politici locali, soprttutto perché per i parlamentari non è prevista la sospensione dopo una condanna non definitiva: “Non vi è ragione alcuna per trattare più severamente gli organi locali rispetto a quelli nazionali”, si legge nell’ordinanza”, “essendo se mai necessario il contrario, attesa la maggiore estensione del mandato elettorale”. La disparità di trattamento tra amministratori locali e politici “romani”, rincarano i giudici, è “palese e ingiustificata”.