Per studiare casi come quello della 18enne in grado di controllare l’infezione, gli esperti di tutto il mondo hanno deciso di creare un consorzio tra i più importanti centri di ricerca. “L’obiettivo è rendere replicabili casi ancora oggi eccezionali, come quello del cosiddetto Mississippi baby e della ragazza francese”, afferma Paolo Rossi, coordinatore del consorzio e direttore del Dipartimento pediatrico universitario ospedaliero di Roma
Ha fatto il giro del mondo l’annuncio dei medici dell’Institut Pasteur di Parigi del più longevo caso mondiale di regressione del virus dell’Aids. Una ragazza francese di 18 anni, sieropositiva sin dalla nascita, che aveva interrotto i trattamenti con farmaci antiretrovirali 12 anni prima. I medici ammettono di “non sapere ancora il motivo per cui questa ragazza è in grado di controllare l’infezione”.
Per cercare di trovare una risposta a interrogativi come questo, gli esperti di tutto il mondo hanno deciso di creare un’alleanza internazionale per sconfiggere l’Hiv pediatrico. Un consorzio tra i più importanti centri di ricerca mondiali – dalla John Hopkins University Usa all’University College of London, solo per citarne alcuni – coordinato dall’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, e presentato in un articolo pubblicato nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista medica “Lancet Infectious Diseases” (leggi).
“L’obiettivo è rendere replicabili casi ancora oggi eccezionali, come quello del cosiddetto Mississippi baby e della ragazza francese”, afferma Paolo Rossi, coordinatore del consorzio e direttore del Dipartimento pediatrico universitario ospedaliero del Bambino Gesù. Si partirà con l’ottimizzazione di nuove tecnologie per studiare il virus nell’organismo del bambino infetto e la risposta del sistema immunitario al virus stesso. In un secondo momento verrà, quindi, sviluppato un modello predittivo, utilizzando algoritmi matematici applicati ai dati relativi ai bambini trattati precocemente con la terapia antiretrovirale. Infine, saranno individuate le aree di intervento e i gruppi di bambini sui quali verranno effettuate le sperimentazioni cliniche, tra cui il vaccino terapeutico pediatrico messo a punto dagli stessi ricercatori dell’ospedale della Santa sede.
Nel mondo più di 35 milioni di persone convivono con l’Hiv, a volte senza esserne a conoscenza. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli passi avanti nel contrasto al virus dell’Aids, alla ricerca di un vaccino, attraverso tecniche di manipolazione del Dna come la terapia genica, o sfruttando le potenzialità del sistema immunitario, con la cosiddetta immunoterapia. Un aiuto è arrivato, inoltre, dall’individuazione delle tane dove il virus si nasconde nell’organismo, fino a diventare invisibile.
Allo stato attuale, l’unico caso al mondo di paziente considerato “guarito” è quello di Timothy Brown, il cosiddetto paziente di Berlino. Tuttavia, quando si parla di Aids, la prudenza non è mai troppa, perché il virus, anche quando sembra completamente sparito dall’organismo, lascia sempre delle impronte indelebili. Come quando si cammina sul cemento ancora fresco. Lo dimostra il caso del bambino milanese di 5 anni, positivo al virus dell’Aids sin dalla nascita, in cura presso l’ospedale Sacco che, dopo essersi liberato del virus per tre anni grazie a un intenso trattamento precoce con farmaci antiretrovirali, è diventato nuovamente sieropositivo.
Si tratta del secondo caso al mondo di “guarigione apparente”, dopo quello della bimba di 4 anni nata in Mississippi da una madre sieropositiva, considerata guarita in un primo momento ma, dopo la sospensione delle terapie, tornata ad avere nel sangue tracce del virus Hiv responsabile dell’Aids.
“L’articolo pubblicato su Lancet Infectious Diseases sottolinea come sia necessario affiancare alla terapia precoce altre forme di trattamenti, tra cui il vaccino terapeutico pediatrico da noi messo a punto – spiega Paolo Rossi – Fino a poco tempo fa, infatti, in molti ritenevano che la terapia precoce da sola avrebbe potuto eradicare l’infezione. Nell’articolo si evidenzia, invece – conclude l’esperto -, come questo non sia accaduto, e come sia quindi necessario supportare la terapia antiretrovirale precoce con altre forme di trattamenti”.