Nel giorno in cui viene rinviato a giudizio per un quinto processo, l'ex coordinatore di Fi abbandona il leader di cui è stato l'ultimo "defibrillatore" con il patto del Nazareno. E tra chi si porta dietro ci sono anche ex cosentiniani come D'Anna: "Su Jobs act, scuola e Pubblica amministrazione Renzi va nella direzione giusta. Posti di governo? Siamo all'opposizione. Ma mai dire mai"
Era stato l’ultimo defibrillatore di Berlusconi: con il Patto del Nazareno resuscitò il Capo da morte politica certa dopo la condanna, la decadenza da senatore, i venerdì al centro anziani, i sondaggi che facevano a fettine il partito ora dopo ora. Ora anche Denis Verdini lascia Forza Italia tra le macerie. E’ l’ennesimo tassello del mosaico sbriciolato del sogno della rivoluzione liberale. Solo l’addio di Sandro Bondi, qualche mese fa, ha avuto un significato simile: tutto simbolico, poi, ora che i berlusconiani sono lì a rincorrere la Lega Nord. Non ha mai avuto gli slanci di “amore” del suo concittadino Bondi, non si è mai prestato alla guerra tra polli televisiva come Renato Brunetta, non ha mai fatto il guardaspalle come fu Bonaiuti, non si è mai stracciato le vesti in pubblico in difesa del presidente. Verdini è stato fedelissimo a modo suo, anche forse per spirito di solidarietà: nel giorno in cui abbandona Forza Italia per formare un gruppetto di possibili Responsabili 2.0, colleziona il quinto processo e il suo legale dice, appunto come un Ghedini, che se non fosse stato Verdini non sarebbe stato rinviato a giudizio. Per qualcun altro, come il senatore del Pd Miguel Gotor, è vero proprio il contrario: “C’è un rapporto, almeno temporale, tra il nuovo rinvio a giudizio di Denis Verdini e l’annuncio dell’uscita da Forza Italia – dice all’Ansa – Evidentemente Verdini è alla ricerca di nuove protezioni che in questa fase giudica più efficaci, ma tutto questo non c’entra davvero nulla con la riforma della Costituzione“.
Il “macellaio” diventato banchiere è stato il tutore, il garante, lo sponsor più appassionato del Patto del Nazareno, il direttore d’orchestra della “profonda sintonia” con la quale Matteo Renzi inaugurò quel viaggio poi naufragato (per le piroette sia del Pd che di Forza Italia sulla legge elettorale). Verdini ora sembra credere a tal punto a quel patto sulle riforme stretto un anno e mezzo fa che ora lo preferisce alla sua stessa storia personale, lui che di Forza Italia è stato a lungo il coordinatore per non dire la prosecuzione di Berlusconi con altri mezzi. “Le posizioni restano distanti, ti confermo l’intenzione di voler andare via. Ho i numeri per fare un gruppo” ha detto Verdini, in faccia a Berlusconi, a Palazzo Grazioli, una volta suo piccolo regno. Come fosse percepito dai vertici del partito questo che è diventato l’ultimo lento con Berlusconi, lo si capisce dall’unità di crisi riunita per parlare con Verdini: Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Niccolò Ghedini. Ma neanche il dream team è bastato.
Verdini si porta dietro 8 deputati e una dozzina di senatori che se davvero si trasformassero in soccorso azzurro sarebbe ossigeno per la maggioranza a Palazzo Madama. Tra questi ci sono anche ex cosentiniani come Vincenzo D’Anna, già fondatore della lista di ex centrodestra che alle Regionali in Campania ha sostenuto il democratico Vincenzo De Luca e divenuto famoso – tra l’altro – per aver mandato a quel Paese Berlusconi in tempi non sospetti. Allora D’Anna era contrario alla riforma del Senato, ora va con Verdini che è tra i co-firmatari di quell’intesa. D’Anna, più loquace di Verdini, traccia un programma d’intenti del nuovo gruppo parlamentare: la linea – spiega – è quella dell’attenzione pragmatica nei confronti delle scelte dell’esecutivo “ma da posizioni di opposizione: valuteremo il tasso di liberalismo e riduzione dello statalismo delle decisioni di Renzi, e quanto fatto con il Jobs act, la scuola, e la riforma della Pubblica amministrazione ci sembra vada nella direzione giusta. Posizioni di governo? Siamo all’opposizione e quindi non ci interessano. Certo, mai dire mai…”. Di “si salvi chi può”, d’altronde, Verdini se ne intende: era nel Partito repubblicano e cercò di saltare nella seconda repubblica con il Patto Segni, ma non fu eletto. Quando Berlusconi vinse le elezioni, passò con Forza Italia. Nonostante il nuovo gruppo abbia – dice D’Anna – già un nome (“Azione liberal popolare e Autonomie”), l’orizzonte rischia di essere solo la fine della legislatura: gli “zerovirgola”, li chiama il capogruppo della Lega al Senato Gianmarco Centinaio. Ma per il momento tanto basta, a tutti quelli che hanno qualcosa da guadagnarci.
Dai vertici del Pd e del governo infatti per il momento è il silenzio di tomba. Prova a suonare la sveglia l’ex capogruppo Roberto Speranza: “Su Verdini e gli amici di Cosentino ho posto una enorme questione politica: per me è un errore gravissimo lavorare a una stampella di trasformisti della destra. Aspetto ancora una risposta chiara da Renzi”. Ma resta agli atti l’intervista di alcuni giorni fa a Repubblica di Lorenzo Guerini, il vicesegretario del partito: “Un conto – aveva detto – è la maggioranza politica che sostiene l’azione di governo. Altro è che sulle riforme di sistema vi possa e vi debba essere lo sforzo per andare oltre la maggioranza. Un principio che abbiamo sempre ricercato e praticato anche per l’Italicum”.