Ilva, rinvio a giudizio per Nichi Vendola e la famiglia Riva. 44 persone a processo
A dibattimento tutti gli imputati che hanno scelto il rito ordinario e tre società. Tra cui l'ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, e il sindaco del capoluogo ionico Ippazio Stefano. Assolto ex assessore regionale all'ambiente Lorenzo Nicastro. Ex governatore: "Ho coscienza pulita"
Tre società e quarantaquattro imputati rinviati a giudizio: tra loro ci sono anche l’ex governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, l’ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, e il sindaco del capoluogo ionico Ippazio Stefano, oltre a Fabio e Nicola Riva, figli del patron Emilio (deceduto lo scorso anno) e proprietari dell’Ilva che secondo la procura ionica ha emesso nell’aria sostanze nocive per gli operai e i cittadini causando “malattia e morte”. Inizierà il prossimo 20 ottobre il processo “ambiente svenduto” per il disastro ambientale e sanitario di Taranto. Il giudice per le udienze preliminari Vilma Gilli ha rinviato a giudizio tutti coloro che avevano scelto di essere giudicati con il rito ordinario, inclusi i Riva.
Le accuse per i due industriali, e per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, l’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e i cinque fiduciari che componevano il cosiddetto «governo ombra» nella fabbrica Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone, è di associazione a delinquere per aver controllato “l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva” e per “consentire al predetto stabilimento la prosecuzione dell’attività produttiva”. Manovre che avrebbero poi causato il disastro ambientale, l’avvelenamento di sostanze alimentari e l’omissione di cautele sui luoghi dove operavano i dipendenti. Fabio Riva, in conrcorso Archinà e l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, deve difendersi anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per ammorbidire una perizia sull’Ilva.
Sotto processo è finito anche l’ex Governatore di Puglia,
Nichi Vendola,
accusato di concussione aggravata per aver fatto pressioni sul direttore geneale di Arpa Puglia,
Giorgio Assennato, affinchè assumesse un atteggiamento meno severo nei confronti della fabbrica. “Sarei insincero se dicessi, come si usa fare in queste circostanze, che sono sereno – commenta con una nota l’ex governatore – Sento come insopportabile la ferita che mi viene inferta da un’accusa che cancella la verità storica dei fatti: quella verità è scritta in migliaia di atti, di documenti, di fatti. Io ho rappresentato la prima e l’unica classe dirigente che ha sfidato l’onnipotenza dell’Ilva e che ha prodotto leggi regionali all’avanguardia per il contrasto dell’inquinamento ambientale a Taranto”.“Vado a processo con la coscienza pulita” conclude Vendola. Alla sbarra sono finiti anche l’ex presidente della provincia
Gianni Florido, il primo cittadino di Taranto,
Ippazio Stefano,
Luigi Pelaggi, l’ex capo della segreteria tecnica del ministro dell’ambiente
Stefania Prestigiacomo, e
Dario Ticali, ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale alla fabbrica e l’ex assessore regionale alla sanità Donato Pentassuglia, accusati di favoreggiamento nei confronti di Archinà.
Cinque invece gli imputati giudicati con rito abbreviato. Tre dei quali sono stati assolti: si tratta del maresciallo dei carabinieri Giovanni Bardaro, dell’avvocato Donato Perrini e dell’ex assessore all’Ambiente Lorenzo Nicastro, che dopo la lettura del dispositivo è scoppiato a piangere: “Questa sentenza – ha commentato Nicastro – mi restituisce la serenità con la quale riprendere la mia carriere di magistrato (tornerà in servizio come pubblico ministero a Matera, ndr) e sono certo che questo processo renderà giustizia a Taranto: serve però la giustizia con “g” maiuscola perché questa nobile città non ha bisogno della condanna degli innocenti “. Il giudice Gilli ha condannato invece il sacerdote don Marco Gerardo (10 mesi) e Roberto Primerano (3 anni e 4 mesi), già consulente della procura.
Secondo l’inchiesta condotta dai carabinieri del Noe di Lecce e dalla Guardia di finanza di Taranto, la continua emissione di sostanze nocive è avvenuta con “piena consapevolezza”, cioè, avrebbe determinato un “gravissimo pericolo per la salute pubblica” causando “eventi di malattia e morte nella popolazione”, mettendo a rischio la salute dei lavoratori dell’Ilva e avvelenando i terreni su cui pascolavano greggi di pecore e le acque nelle quale si allevavano le cozze di Taranto. La decisione del gup di Taranto Wilma Gilli, secondo Angelo Bonelli, “è un fatto importante per la città di Taranto e per tutto il popolo inquinato” che ricorda “Taranto la città dei veleni dove, 30 persone ogni anno hanno perso la vita a causa dall’inquinamento, i bambini si ammalano di tumore del +54% rispetto alla media pugliese, la diossina ha contaminato la catena alimentare e gli operai muoiono in fabbrica per gravi incidenti sul lavoro, potrà cominciare a sperare di avere giustizia”.Secondo il coportavoce nazionale dei Verdi “il processo ‘Ambiente svenduto’ sarà il più importante nella storia della Repubblica Italiana e mentre a Roma si approvano vergognosamente decreti salva Ilva che espugnano Taranto – ‘Dum Romae consulitur, Tarentum expugnatur’ – noi continuiamo a sollecitare la necessaria conversione industriale per passare da un’economia dei veleni ad un’economia della vita come accaduto in altri paesi europei come ad esempio a Bilbao e Pittsburgh. Per noi Verdi – ha concluso Bonelli – che siamo costituiti come parte civile nel processo ‘Ambiente Svenduto’, Taranto non è un caso isolato: bisogna liberare l’Italia dai veleni e dalla corruzione che sono due facce dello stesso problema”.