Non esito a definire storica la delibera per una copertura sanitaria destinata ai freelance e approvata mercoledì 15 luglio dall’Inpgi, l’istituto che eroga le pensioni dei giornalisti. Pur in mezzo alle polemiche e alla crisi. O forse anche per questo. Nessuno è perfetto, e io sono freelance da vent’anni, salvo qualche parentesi redazionale. All’incirca da quando il settimanale Avvenimenti mi ha pubblicato un reportage sulle trasformazioni di Zlin – la company town dei Bat’a che durante il periodo della Repubblica socialista cecoslovacca si chiamava Gottwaldov e dopo il crollo del Muro si è ripresa il suo nome -, ho creduto in questo mestiere.

Ho sempre cercato di svolgere attività sindacale convinto che di fronte alla crisi dell’editoria la prima cosa da fare fosse impedire che si creasse una massa di collaboratori senza alcuna tutela. Pagati pochi euro al pezzo e dopo mesi e perdipiù isolati. Innamorati di tutte le cause perse, ma condannati al silenzio sulla propria. Per scarso o nullo potere contrattuale nei confronti del committente – il famoso “se protesti ti fanno fuori” – e perché i giornali non parlano quasi mai dei problemi dei giornali. Il far west dei freelance ma senza romanticismo alcuno alla Hunter S. Thompson… Ero e sono convinto che se gli editori possono sfruttare i freelance il numero di assunzioni – al netto di altri fattori – sarà pesantemente limitato. E infatti ci sono oggi importanti editori che fanno periodici con uno o due redattori e un direttore che magari è pure direttore di un’altra testata. Parlo di editori grandi e con i conti in ordine.

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La sordità e la scarsa lungimiranza degli editori alle istanze della qualità e del futuro (la poca passione per il mestiere in parole povere), la mentalità conservativa ed egoistica di chi è assunto e sente minacciati dalle rivendicazioni degli ultimi arrivati i propri diritti ovvero vecchi privilegi insostenibili (dentro e fuori il sindacato), nonché le difficoltà normative relative ai cosiddetti “liberi professionisti” dell’informazione hanno fatto sì che i risultati pratici della lotta sindacale per i freelance siano stati – purtroppo – ancora limitati. Non trascurabili ma limitati. Difficile anche quasi chiamarla lotta perché il sindacato nazionale unico dei giornalisti, la Fnsi, non dimostrava nel passato grande combattività nei confronti del muro di gomma eretto dagli editori quando si veniva al tema freelance. Peccato che ormai gli assunti siano una riserva indiana assediata che decresce a vista d’occhio e il far west dove vivono i freelance senza protezioni stia dilagando. Quindi il tema ormai è all’ordine del giorno e della notte delle trattive. Molti freelance tra l’altro – dopo avere atraversato il deserto di questo farwest – non avranno una pensione accettabile e neanche la famosa pensione minima perché è stata abolita per gli iscritti agli ordini professionali e relativi istituti previdenziali. Non tutti anzi quasi nessuno lo sa.

Le cose devono e possono cambiare, come dimostra la copertura sanitaria integrativa gratuita per i freelance, partite Iva o cococò che siano. Si cerca di prendere atto di una dinamica sociale che era evidente già da anni (ed è già tanto con questi chiari di luna). Nell’ultimo contratto nazionale dei giornalisti (Cnlg), stipulato nel 2014 tra Fieg (editori) e Fnsi, è stato inserito un tariffario minino per i collaboratori e questo sarà almeno una base di contrattazione per un futuro che è già presente. Si doveva fare di più e l’ho ripetuto all’infinito anche su questo blog. Soprattutto bisognerebbe sorvegliare sulla applicazione che non c’è stata. Si ipotizzava anche una copertura sanitaria integrativa da parte della Casagit ma è saltata (sostituita da una seconda tranche di aumento per gli assunti!) e ora l’ha creata l’Inpgi. Con la delibera del 15 luglio seguita a un lavoro preparatorio al quale ho preso parte e durante il quale si è ragionato e discusso. Che cosa dare ai freelance? Soldi per l’aggiornamento professionale, per esempio? Complicato erogarli a migliaia di iscritti Inpgi, ciascuno con le proprie esigenze. Finanziamenti a tasso zero per comprare computer, macchine fotografiche e così via? Li danno in ogni centro commerciale. Sussidi di disoccupazione quando un freelance perde – mettiamo – la collaborazione principale? Difficile capire come valutare questo tipo di situazione, ed evitare che qualcuno faccia il furbo. Non ci si può trasformare in controllori a vasto raggio. Inoltre si tratta di una misura la cui portata e quindi il costo non è prevedibile. Dipende dall’andamento del mercato del lavoro.

Controindicazioni che non ci sono per la copertura sanitaria. Lo stato di bisogno è certificato clinicamente – mettiamo un ricovero ospedaliero di una settimana per affrontare il quale viene offerta una diaria – e il ricorso alle prestazioni dipende mediamente dall’età ed è stimabile statisticamente. La storica delibera – sia chiaro – attende l’approvazione da parte dei ministeri vigilanti, Lavoro ed Economia. Dopo la quale – non è un passaggio scontato – tutti i giornalisti iscritti all’Inpgi2 (la gestione separata che si occupa della previdenza di chi non è assunto), con reddito medio professionale tra i 3mila e i 25mila euro lordi annui nell’ultimo trienno, avranno appunto la copertura.

Alla fatifica domanda “e se mi ammalo?” finalmente è stata data una risposta utile anche per chi non si è mai potuto mettere in malattia. Perché si è scelta la fascia di reddito tra 3mila e 25mila euro lordi annui? A tutti non si poteva dare, per problemi di costi. Si è deciso di escludere i colleghi che da tre anni non sono più in attività – se un freelance non scrive manco un pezzo per tre anni vuole dire che si occupa d’altro – o che ha un reddito maggiore quindi diciamo decente. Secondo le stime si tratta di circa seimila colleghi, mica bruscolini. Per un costo totale sui tre milioni di euro. Un costo fisso e che non può esplodere perché ciascuno riceve a fronte di un versamento previdenziale in funzione del reddito. Peraltro se la gestione che riguarda gli assunti attraversa una pesante crisi strutturale quella che riguarda i freelance è giovane – non ha nemmeno venti anni – e gode di nuova salute anche se non erogherà, come ho detto, pensioni adeguate (questo è un altro problema). Qualcuno ha confuso i due piani.

Apriamo qui una parentesi sacrosanta visto che ci sono state polemiche. Ma come: l’Inpgi è in crisi e dà la copertura sanitaria gratis ai freelance? La crisi epocale che grava sull’Inpgi riguarda le pensioni e le prestazioni degli assunti. Si tratta di un riflesso del declino economico dell’editoria – non si assume più e i pensionati soverchiano i giornalisti attivi – ma ci sono anche incrostazioni di privilegi insostenibili. Come la pensione di reversibilità al 75 per cento per il coniuge superstite del giornalista, contro il 60 dell’Inps. Immaginiamo un vecchio direttore o un corrispondente da una importante capitale che sposa una giovane donna prima di andarsene all’altro mondo… Aggiungiamo i sussidi di disoccupazione dopo gli ormai dilaganti licenziamenti. E le molte pensioni erogate prima della riforma con criterio retributivo cioè in base agli ultimi stipendi e non a quanto versato come avviene da sempre per i freelance. Chiaro che la gestione degli assunti – trangugiato il micidiale cocktail di cui sopra – è pericolante se non si vara un piano di lacrime e sangue partendo da chi ha avuto tanto, troppo – ma senza potersi fermare qui.

I freelance in pensione Inpgi sono per ora pochissimi rispetto a quelli che sono in attività. E quelli che sono in attività quando andranno in pensione prenderanno solo quanto versato – contributivo puro  – con una rivalutazione proporzionale all’andamento medio del Pil. Per legge, sulla base delle ultime dure riforme. La crescita del Pil è prossima allo zero da anni in Italia se non negativa (in questo caso la rivalutazione si ferma, non diventa negativa ovviamente). Negli ultimi anni il mercato finanziario è invece andato piuttosto bene rispetto agli altri comparti economici e dunque i risparmi accumulati nella gestione del patrimonio previdenziale dei freelance hanno generato un surplus di denaro che è sacrosanto utilizzare per sviluppare una rete di protezioni per chi svolge questo mestiere senza rete e senza potersi permettere il lusso di ammalarsi. Secondo una concezione più evoluta della previdenza che non si riduce alle pensioni, peraltro mediamente bassissime come si prevede (questa sarà una bomba sociale che esploderà tra qualche anno).

Per quanto riguarda la copertura sanitaria, i colleghi assunti hanno già un’assistenza molto completa fornita dalla Casagit, un ente di categoria che non ha forse eguali nel panorama professionale nazionale e internazionale. In linea di massima per i freelance stiamo parlando di una copertura molto meno estesa ma con contributi non esigui per cure odontoiatriche, occhiali da vista ma anche appunto una diaria per ricoveri che consenta di non dover lavorare dall’ospedale col computer portatile sul letto, e altro ancora. Stiamo parlando di rimborsi per visite specialistiche, esami clinici, terapie riabilitative che consentano di non dover dipendere esclusivamente dal sistema sanitario nazionale con le lungaggini inaccettabili in certi momenti fatidici. Quanto più o meno corrisponde al profilo intermerdio già offerto ai non assunti ma naturalmente a pagamento. L’ente che storicamente oggi eroga questi servizi con grande efficienza e costi ridotti rispetto a quanto offerto da altri operatori del mercato – le compagnie assicurative – si chiama, dicevo, Casagit.

Per questo è stato scelto come interlocutore privilegiato. E anche per integrare i freelance negli istituti di categoria accanto agli assunti. Qualcuno di loro strepita temendo che la pensione d’oro percepisce sia messa in pericolo da questa mossa. Si tratta di gestioni economiche che fanno capo a un unico soggetto previdenziale – l’Inpgi – ma separate. La prima – quella degli assunti – traballa per pensioni e prestazioni varie molto elevate rispetto alla media nazionale. La seconda – quella dei freelance  – è solidissima ma con pensioni basse e senza prestazioni (a parte il sussidio di maternità e una assicurazione infortuni per i cococò recentemente varata). Almeno fino alla delibera del 15 maggio e – si spera – all’approvazione ministeriale.

Se tutto questo andrà in porto – in mezzo alle polemiche intestine e alla tempesta perfetta che attraversano la categoria dei giornalisti e le sue istituzioni – sarà veramente un passo storico. Qualcosa che non ho mai visto in vent’anni. Ho visto il crollo del Muro, vedrò aprirsi qualche varco nel muro di gomma che condanna migliaia di colleghi a lavorare senza tetto né legge, alle condizioni imposte unilateralmente dall’editore nell’indifferenza dei colleghi assunti e nel silenzio dell’informazione?

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