Ci sono voluti 41 anni, tre inchieste e tredici processi per arrivare finalmente a una condanna per la strage di Brescia. Ergastolo per Carlo Maria Maggi, il capo della cellula veneta di Ordine Nuovo, e per Maurizio Tramonte, il fascista fonte “Tritone” dei servizi segreti. Erano stati assolti nella terza indagine sulla strage di piazza della Loggia. Poi la Cassazione ha cancellato l’assoluzione e ordinato un nuovo processo d’appello che ieri si è concluso con due ergastoli.
È provato, dunque, che l’esplosivo che uccise otto persone e ne ferì più di cento, quel 28 maggio 1974 a Brescia, è la gelignite conservata nella trattoria di Venezia “Scalinetto”, dove si ritrovavano gli uomini di Ordine Nuovo, e poi consegnata da Carlo Digilio a Marcello Soffiati, che la portò a Brescia. Soffiati e Digilio (l’unico condannato per la strage di piazza Fontana, di cui si era autoaccusato) sono morti, dunque non possono più essere condannati. Ma erano solo due militanti di Ordine Nuovo, che non potevano certo decidere da soli una strage come quella di Brescia. Era Maggi il capo della cellula veneta in grado di dare l’ordine.
È Maggi infatti che il 25 maggio 1974, tre giorni prima della strage, in una riunione ad Abano Terme dice che bisogna fare un grande attentato, che bisogna proseguire nella strategia stragista iniziata il 12 dicembre 1969 in piazza Fontana a Milano: lo riferisce Tramonte, militante di Ordine Nuovo che era diventato un informatore del Sid (il servizio segreto militare) con il nome in codice di “fonte Tritone”. Il generale del Sid Gianadelio Maletti, che gestiva la fonte, la tenne nascosta e si guardò bene dal passare le informazioni di “Tritone”, preziosissime, ai magistrati che indagavano sulla strage. È il giudice istruttore di Milano Guido Salvini a scoprire, negli anni Novanta, chi è “Tritone”, che è così portato a giudizio.
Del ruolo di Maggi parlano anche altri due militanti di Ordine Nuovo, il veneto Nicola Rao e il milanese Pietro Battiston, in una conversazione intercettata nel 1995, in cui commentavano la partenza da Venezia, il giorno prima della strage di Brescia, di una valigia di esplosivo.
Tutto ciò non fu ritenuto sufficiente dai giudici del primo processo d’appello a Brescia, contraddetti dalla Cassazione. Ora la Corte d’assise d’appello di Milano ha messo un punto fermo in una lunga storia di stragi sempre senza colpevoli.
Soddisfatti, finalmente, i famigliari delle vittime. “La sentenza impone una profondissima riflessione su quegli anni dal ’69 al ’74”, ha dichiarato Manlio Milani. Il giudice Salvini oggi commenta: “Questo esito è il premio per un impegno, quello della Procura di Brescia, che non è mai venuto meno in tanti anni. Se la Procura di Milano avesse fatto altrettanto, credo che sarebbe stato possibile andare anche per piazza Fontana al di là di quella responsabilità storica che comunque le sentenze hanno accertato in modo indiscutibile nei confronti delle stesse cellule di Ordine Nuovo al centro del processo per piazza della Loggia”.
Il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2015