L'ex monopolista delle telecomunicazioni ha congelato 4mila assunzioni perché Palazzo Chigi non ha previsto nei decreti attuativi del Jobs Act i contratti di "solidarietà espansiva", con cui lo Stato copre il 70% della decurtazione dagli stipendi in cambio di nuovi inserimenti. La settimana scorsa le coperture sono state trovate, ma la posizione del gruppo non cambia. Anzi arriva l'aut aut
Non ci sono solo la rete a banda larga e la Cassa depositi e prestiti tra il governo e Telecom Italia. Ora l’ex monopolista punta al sodo e mette sul tavolo l’occupazione. Dando l’aut aut al governo: o Palazzo Chigi mette nero su bianco in un decreto che il gruppo potrà contare sui soldi pubblici per i contratti di solidarietà espansiva, o 1.700 lavoratori saranno lasciati a casa. E’ questo infatti il succo del comunicato diffuso dopo un incontro con i sindacati al ministero dello Sviluppo economico, dove il mese scorso è stato aperto un tavolo per affrontare, come aveva annunciato l’amministratore delegato Marco Patuano il 16 giugno, “diverse tematiche relative al lavoro: dagli esuberi strutturali al ricambio generazionale alle nuove assunzioni“.
La nota diffusa dall’azienda conferma le notizie diffuse in mattinata da fonti sindacali: gli esuberi ammontano a circa 1.700 addetti sui 52mila che lavorano in Italia (a livello mondiale sono 66mila). Gran parte del comunicato di Telecom, di cui dalla fine di giugno è primo azionista la francese Vivendi, si concentra però non a caso su un altro aspetto: lo stop alle nuove assunzioni promesse a febbraio. Dovevano essere 4mila nei prossimi 3-4 anni, ma sono state congelate perché il governo, nei decreti attuativi del Jobs Act, non ha garantito il finanziamento dei contratti di solidarietà espansiva, quelli con cui lo Stato copre il 70% della decurtazione degli stipendi dei lavoratori in cambio, appunto, di nuovi inserimenti. Uno strumento che “avrebbe permesso di salvaguardare l’attuale livello occupazionale e contemporaneamente assicurare un ricambio generazionale progressivo, in aziende come Telecom Italia che hanno una elevata età media del personale e la necessità di rinnovare il proprio patrimonio di competenze”, si legge nel comunicato.
A dire il vero la settimana scorsa, dopo le sollecitazioni di Telecom ma anche di altri grandi gruppi come Finmeccanica, i soldi necessari per la copertura dell’ammortizzatore sono stati trovati. Ma quell’annuncio al gruppo non basta: fino a quando Palazzo Chigi non varerà un decreto ad hoc nulla cambia. E anziché di assunzioni si parla, appunto, di esuberi. Il segretario generale Uilcom Salvo Ugliarolo ha fatto sapere che 1.200 riguarderanno il personale di staff, 150 l’unità open access, 150 i lavoratori “ex servizio 12” e 200 l’information technology. In più l’ex monopolista intende concentrare in una nuova società, Tim caring, i circa 9mila dipendenti che oggi impiega nei call center per l’assistenza ai clienti.
Di fronte al ricatto, il governo fa sapere attraverso una nota del ministero di Federica Guidi che “si impegna a favorire un accordo in tempi brevi”. Un secondo confronto con le organizzazioni di categoria si terrà il 29 luglio. Massimo Cestaro, segretario generale della Slc Cgil, ha ricordato nel frattempo che gli accordi del 27 marzo 2013 “a fronte di un aumento della produttività e di una riduzione del costo del lavoro, prevedevano l’internalizzazione di attività per azzerare gli esuberi aziendali”, e “dichiarare oggi nuovi esuberi significa disdettare quell’accordo” e “sino a quando non vedremo eliminata dalla vertenza la questione della societarizzazione del servizio customer di Telecom, Slc Cgil non aprirà alcun negoziato con l’azienda”.
Solo a giugno Patuano aveva spiegato che l’azienda intendeva “aggiungere l’8-10% di forza lavoro”. Va ricordato, per altro, che nel frattempo Telecom ha usufruito per oltre 30mila lavoratori della cosiddetta solidarietà difensiva. L’ammortizzatore, scaduto a fine aprile per una parte dei dipendenti e in scadenza per quelli della funzione Directory assistance, ha garantito al gruppo una riduzione dei costi di 108 milioni nel 2013, 145 nel 2014 e 34,6 nel 2015.