Il titolo a caratteri cubitali dell’articolo era: Carlo Giuliani, quando il padre diceva a sua moglie: “Speriamo di fargli presto un bel funerale”. Liberoquotidiano.it lo pubblicava il 15 luglio. Cinque giorni prima dell’anniversario della morte di Carlo Giuliani, il giovane manifestante morto sparato durante il G8 di Genova.
Le immagini rimaste impresse nella mia mente sono quelle che ancora oggi fanno il giro della rete: Carlo davanti alla camionetta dei carabinieri con un estintore in mano e Carlo esamine a terra in una pozza di sangue che sembra disegnare un’aureola attorno alla sua nuca. Il carabiniere di leva, quasi coetaneo di Carlo, da dentro la camionetta aveva sparato e lo aveva centrato in pieno. Prosciolto per legittima difesa.
Era il 20 luglio 2001 quando Carlo Giuliani perse la vita. In quella calda giornata estiva io non ero a Genova. Ricordo che un po’ di tempo prima s’era parlato a Rimini di organizzare un pullman per andare a manifestare al forum degli 8 Stati a Genova. Ne avevamo parlato durante le riunioni, in un affiatato gruppetto di giovani di sinistra. Avevamo dato anche un nome a quel giovane gruppetto di idealisti e con voto democratico avevamo optato per “opificio mancino”. Ricordo che qualcuno di “opificio mancino” ci andò a Genova e forse quell’esperienza segnò il resto della sua vita.
Il titolo dell’articolo di liberoquotidiano.it riportava il contenuto di alcune vecchie intercettazioni conservate (non è dato sapere in quale archivio) dal sindacato di polizia Coisp e utilizzate provocatoriamente per il diniego ad una contromanifestazione indetta lo stesso giorno in cui veniva commemorato pubblicamente Carlo.
Le intercettazioni in questione, riporta lo stesso articolo, “…risalgono al 2000, quando si indagava su Carlo Giuliani per traffico di stupefacenti (la sua posizione fu archiviata)”.
Così, proseguendo nella lettura mi immaginavo di trovare chissà quali prove inconfutabili della pericolosità di Carlo Giuliani. E invece si trattava di conversazioni che non avevano nulla di penalmente rilevante ma che riguardavano il rapporto conflittuale con i suoi genitori. Genitori che avevano visto il figlio prendere una brutta strada e quasi rassegnati avevano pronunciato parole forti. Ma poteva essere uno sfogo comprensibile di un padre che amava il figlio e che vedeva in lui scelte di vita sbagliate.
“Di sicuro c’è che da queste parole emerge un Carlo ben distante dall'”eroe popolare” al quale è stata dedicata una piazza” , conclude l’articolista.
Ora, io non ero a Genova quel 20 luglio 2001 e tutto ciò che è accaduto l’ho appreso dai media e da chi ancora oggi l’ho può raccontare da sfortunato e involontario protagonista. Ricordo però che a Genova, mentre le alte cariche degli 8 Stati erano al sicuro tra le mura di Palazzo Ducale, qualcosa non funzionò. La città venne messa a ferro e fuoco dai black block che si erano mischiati a chi manifestava pacificamente. Vi furono scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Vi fu la tristemente nota irruzione alla scuola Diaz: “…Sembrava una macelleria messicana”, “non dissi nulla per spirito di appartenenza”, raccontò il vice questore Fournier durante il processo che lo vedeva imputato insieme ad altri 27 poliziotti.
Lo ribadisco, io non c’ero a Genova quel 20 luglio 2001, quando un ragazzo di ventitré anni perse la vita sparato da un ragazzo di ventuno e, come me, era assente anche lo Stato.