Si riparla di intercettazioni.

Ed il tema divide, come sempre.

Nel bel mezzo della tempesta mediatica scatenata dai casi Hacking team (la vendita da parte della società milanese a diverse istituzioni nazionali ed internazionali di dispositivi in grado di “impadronirsi” dei computer a distanza), dalle presunte intercettazioni che hanno riguardato il presidente della Regione Sicilia Crocetta, ed alle modifiche della norma sulle intercettazioni, arriva la voce chiara della Cassazione sugli “ascolti” a distanza assimilabili a virus informatici.

Lo scorso 26 giugno la Corte Suprema ha dichiarato illegittime le intercettazioni telefoniche attraverso strumenti informatici a distanza applicate ad uno smartphone: in particolare la Cassazione stabilisce il principio in base al quale l’intercettazione telematica tramite virus informatico installato nel dispositivo telefonico (nella fattispecie uno smartphone) appare violare i principi contenuti nell’art. 15 della Costituzione che tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni, nella misura in cui consente l’effettuazione di intercettazioni tra presenti ovunque senza le indicazioni precise dei luoghi dove le intercettazioni si devono svolgere.

In questo modo viene leso il principio secondo il quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni sono inviolabili, ammettendo una limitazione soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge. In pratica non è ammissibile l’applicazione di un captatore informatico (un virus intrusore) capace di controllare tutti gli spostamenti e le comunicazioni del soggetto bersaglio, ovunque esso vada.

Ma la Cassazione va oltre perché si interroga sulla sorte delle videoriprese effettuate dal cellulare di cui il soggetto bersaglio non aveva più il controllo, in virtù dell’applicazione del virus intrusore. Il virus apposto dalle forze dell’ordine era in grado attivare da remoto anche la videocamera dello smartphone.

E qui la Cassazione riconosce che le videoriprese effettuate dallo smartphone nella privata dimora sono acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili mentre in altri luoghi (ad esempio un bagno pubblico), quando c’è necessità di tutelare la riservatezza, occorrerà comunque ricorrere al giudice, per ottenere l’autorizzazione a svolgere queste riprese.

Sul tema peraltro è intervenuto con voce altrettanto chiara il Garante della Privacy, Antonello Soro, evidenziando i rischi di un controllo pervasivo delle comunicazioni personali di ognuno di noi.

Più che un problema di pubblicabilità da parte degli organi di stampa delle intercettazioni, che sembra l’oggetto del Ddl Penale di cui si parla in queste ore (almeno nei casi analizzati dalla Cassazione), sembra che il tema reale sia quello di come siano state acquisite determinate informazioni oggetto delle intercettazioni e da chi, e se queste informazioni siano state rigorosamente sottoposte in via preventiva al vaglio di un giudice.

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