“I giovani vanno difesi dall’idea del successo a tutti i costi e quattro passaggi televisivi”. Mauro Pagani è uno che si definisce fortunato. Fortunato perché è stato giovane in un periodo in cui “ci si poteva permettere di essere di belle speranze e illusioni”, e in cui “il segno della società era positivo”. A differenza di molti della sua generazione (è del ’46) però, non rinuncia all’idea che per chi si affaccia oggi al mondo della musica non ci sia scampo. Anzi, è proprio dal concetto opposto che parte la sua idea di supportare le nuove leve. Polistrumentista, produttore, direttore d’orchestra e scrittore (“Foto di gruppo con chitarrista”, Rizzoli), nei panni di direttore artistico di Area Sanremo, ha organizzato una serie di seminari destinati a tutti gli iscritti, 4 giorni di incontri condotti da professionisti del settore (15-18 ottobre). Chi si iscrive al bando per il concorso, che sceglierà due artisti da portare all’Ariston (fino al 20 settembre 2015 sul sito), avrà la possibilità di seguire lezioni con Ivano Fossati, Emis Killa, Nina Zilli, Paolo Corsi (editore), Pagani stesso e molti altri.
Perché farlo?
Andiamo verso un futuro nel quale chi vuole fare questo lavoro avrà ben poche strutture che lo possano fiancheggiare. Difficilmente potrà permettersi un avvocato, trovare un produttore vero, pagare degli studi di registrazione. Invece il loro futuro è all’inizio, e va spiegato loro come non finire nelle mani di discografici da quattro soldi.
Ce ne sono di “botole”, eh?
Succede che firmino contratti assurdi, senza avere consapevolezza in merito al numero di anni o di dischi con i quali si legano a qualcuno. La maggior parte non sa cosa sia un’edizione, confonde i discografici, che sono commercianti, con gli editori, che sono i mercanti di musica nel senso più nobile del termine, e difenderanno e tuteleranno le opere.
La lezione di Fossati s’intitola “Dieci ragioni per scrivere (o no) una canzone”, e anche la sua riguarderà i “Meccanismi della creatività”.
È un’attitudine, va coltivata. Bisogna nutrirsi di cinema, tanto, leggere libri e poi osservare, dopo aver imparato come. Ciò che ti interessa è figlio della tua conoscenza.
È che la musica, poi, la vogliono fare un po’ tutti.
Si tratta di un dono, e come tale va trattato. Dovrebbe essere insegnata nelle scuole, perché a lei è demandato il compito di raccontare l’irrazionale. Lo dico sempre: è molto bello andare a mangiare una pizza con quattro amici, ma non avete idea di come sia bello farsi una suonata insieme.
Solo che camparci è un’altra cosa.
Devi fare il musicista solo se non hai scampo. Vuol dire passione, studio (moltissimo), privazioni, umiliazioni. E vuol dire capire che il successo è un meraviglioso incidente di percorso, ma che non è la ragione principale. Molti si iscrivono ad Area Sanremo per arrivare al Festival, senza capire che farlo nel momento sbagliato è un grave errore.
È successo a molti.
Se non va bene il Festival, si ricorderanno di te come quello che ha fatto Sanremo e poi non è emerso, e diranno “Avanti il prossimo”. È il meccanismo talent, e a me viene una tristezza a pensare a questi poveretti che dopo tre mesi di popolarità stanno al bar del paese a raccontare di quella volta che sono andati in tv.
E prima, com’era?
Io sono andato via di casa perché non volevo laurearmi in Lettere e insegnare greco (che pure adoro). Noi volevamo solo fare i musicisti. Era un’epoca diversa, la scena in piena espansione. La tv poi, era un obbligo promozionale, ci si andava perché si doveva. La televisione quando fa i talent si nutre di carne umana, campando più sugli sconfitti, che sui vincitori.
Per essere pronti, bisogna essere forti, avere la stessa preparazione che si richiederebbe a un pugile per gareggiare. Per accettare che i brani delle radio saranno scelti dal reparto commerciale, e non da quello artistico. Ammesso che ci sia.
E in tutto questo, la scena indipendente?
È il bacino dal quale si spera che escano le cose più interessanti, anche se le ristrettezze economiche non sono buone consigliere mai. Il punto è che i geni emergono comunque, mentre tutti gli altri sono messi in condizione di dover limare la propria qualità. Andiamo verso una proposta artistica che chiamo “almost”: “suona quasi bene”, “canta quasi bene”. Vedrai, arriveremo a “questo disco suona quasi bellissimo”.
Come ci si “quasi salva”?
Il punto è che serve tempo. Bisogna fermarsi, mettere a punto. La canzone, quando l’hai pubblicata, è andata. Ogni canzone è l’ultima occasione di se stessa.
Salvo arrangiarla, ma di norma si fa con quelle già famose.
È come l’arredamento: hai voglia a mettere cose belle, se la casa fa pena.
Con le metafore è più forte di Bersani. Oltre alle lezioni, offrirete delle borse di studio. Chi paga?
Stiamo cercando sponsor, qualche mecenate, da aggiungere a quello che riusciremo a tirar fuori noi. Vorremmo consentire anche a chi non passa le selezioni di avere un po’ di soldi da parte per avere del tempo da dedicare alla musica invece di ritagliarlo tra lavoretti sotto pagati, per studiare, per coltivare la propria passione.