Brescia democratica e antifascista sta piangendo. Per l’emozione fortissima, per i ricordi tornati vividi, perché ha avuto ragione a sperare che giustizia fosse fatta, che un pezzo di storia del Paese trovasse luce e che otto vittime innocenti e i loro cari sapessero ufficialmente chi li ha uccisi in quella piovosa mattina del 28 maggio 1974.
Pioveva durante la manifestazione convocata dai sindacati in risposta ad una serie di episodi molto gravi accaduti nei giorni e nelle settimane precedenti a Brescia e che, come molti avevano capito, indicavano che la strategia della tensione aveva scelto Brescia come nuovo bersaglio. Il comunicato del sindacato che organizzerà la manifestazione conclude infatti affermando: “E’ grave che si sfugga all’attentato per cause fortuite e che si scoprano le trame nere per accidenti dovuti all’incoscienza, all’inesperienza, all’irresponsabilità». Il 28 maggio erano state dichiarate quattro ore di sciopero generale, che si sarebbero estese all’intera giornata successiva alla strage.
28 maggio 1974, ore 10.12, otto morti: Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante, Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante, Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante, e sua moglie Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante, Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano; Luigi Pinto, 25 anni, insegnante; Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio; Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio. 102 i feriti.
Sono passati oltre 41 anni da quel giorno, quasi una vita. La notizia della sentenza si è sparsa come un tam tam raggiungendoci ovunque fossimo in breve tempo. Nel mio caso ero appena atterrato e, come ho letto il messaggio, stavo per mettermi a piangere in aereo per l’emozione. Dopo 41 anni due condanne all’ergastolo per la strage di Brescia!
Potete immaginare cosa significhi per tutti coloro che ci sono passati attraverso, anche se ragazzini all’epoca, che hanno vissuto l’ansia di quei giorni, il senso di abbandono da parte di uno Stato che era sospettato di essere in parte complice degli assassini, il timore di un golpe imminente (poco più di due mesi dopo ci sarebbe stata la strage del treno Italicus), che sono andati alla camera ardente nel palazzo della Loggia e ai funerali che hanno visto centinaia di migliaia di persone contestare duramente il Capo dello Stato Leone e il Presidente del Consiglio Rumor in una città militarizzata. Cosa significhi per coloro che 41 volte sono tornati, con le gambe o con il cuore, in quella piazza il 28 maggio di ogni per chiedere giustizia. Per chi non ha mai voluto camminare sulla lastra sul pavimento della piazza nel punto in cui è caduta una delle otto vittime, Alberto Trebeschi.
Benedetta Tobagi ha scritto un bel libro (Una stella incoronata di buio) che racconta la storia dei caduti e aiuta a ricostruire l’atmosfera di quei tempi a Brescia. Tobagi è stata vicina, durante la realizzazione del libro, a Manlio Milani, presidente dell’Associazione delle vittime di Piazza della Loggia, che quel giorno ha perso la moglie Livia e al quale dobbiamo moltissimo: Manlio ha combattuto 41 anni per lei e per tutti noi al fine di togliere un velo oscuro e polveroso da un pezzo di storia del nostro Paese. Brescia democratica lo ha abbracciato tutta insieme al momento della lettura della sentenza, per aver continuato a rappresentare tutti e tutte coloro che hanno creduto che giustizia potesse essere fatta, che la verità storica e giudiziaria potessero venire alla luce, che hanno continuato a credere nelle istituzioni democratiche nonostante tutto quello che è successo in questi 41 anni.
Questo, secondo me, il messaggio di questa lunga storia e dei suoi protagonisti: i cittadini e le cittadine devono sempre essere convinti di avere il potere di cambiare le cose in meglio, di trasformare questo nostro Paese con l’impegno personale, con i comportamenti individuali e collettivi, a fianco delle Istituzioni che sono fatte di persone che, in grande maggioranza, conducono la nostra stessa lotta per un Paese migliore e più giusto.
di Roberto Crea, segretario regionale di Cittadinanzattiva Lazio