Riforma terzo settore slitta a settembre. Commercialisti: “Onlus possano fallire”
I termini per la presentazione degli emendamenti al ddl sono stati di nuovo spostati in avanti. Con il rischio che il Parlamento non riesca ad approvarlo entro fine anno. Intanto, alla luce degli ultimi scandali, arriva la richiesta di prevedere anche per gli enti non profit l'accesso alle procedure concorsuali, in modo da tutelare dipendenti e creditori
Anche le
onlus e gli enti del
terzo settore devono poter
fallire, in modo che in caso di crisi i soggetti coinvolti siano tutelati. Ad auspicarlo è il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti,
Gerardo Longobardi, nel parere sulla legge delega per la
riforma del terzo settore, ora arenata in commissione Affari costituzionali al Senato e la cui approvazione sembra destinata a
slittare almeno a fine anno. Una proposta tanto più rilevante alla luce degli
ultimi scandali legati a Mafia Capitale, che hanno messo in luce da un lato come l’universo delle cooperative sociali sia esposto, dall’altro
quanto rischino i creditori e i dipendenti in caso di blocco delle attività. Il tutto in un quadro di
controlli largamente insufficienti per mancanza di risorse e
senza la prospettiva dell’istituzione di un’autorità di vigilanza ad hoc, il cui costo secondo il governo sarebbe eccessivo. “Vi sono circostanze in cui gli enti del terzo settore possono assumere una
rilevanza assai significativa dal punto di vista dimensionale”, ricorda Longobardi. “Soprattutto in tali situazioni, la previsione di una disciplina sulla fallibilità e sull’accesso alle
procedure concorsuali appare opportuna, al fine di garantire adeguatamente i soggetti che interagiscono con tali enti, contribuendo a rendere più chiari i rapporti e le conseguenze derivanti da un eventuale stato di crisi o di
insolvenza”.
Difficile sapere se l’auspicio verrà ascoltato o meno. Anche perché il varo della delega è stato ulteriormente rinviato. Mentre
le associazioni e gli addetti ai lavori si confrontano con toni anche accesi su temi caldi come la distribuzione degli utili, il testo
approvato dalla Camera a inizio aprile si è insabbiato a Palazzo Madama. Dopo un primo slittamento dal 9 al 21 luglio, la presidente della commissione Affari costituzionali
Anna Finocchiaro ha deciso di prorogare i termini per la presentazione degli emendamenti al 7 settembre. Una decisione le cui motivazioni non sono state chiarite e che rende matematico l’ingorgo con la
legge di Stabilità, le riforme costituzionali e la legge sulle unioni civili. Con il risultato che l’approvazione entro fine anno appare molto difficile. Lo ha ammesso lo stesso sottosegretario al Welfare
Luigi Bobba, tra i promotori della riforma, che pure in un’intervista a
Vita ha detto che il ministro per i Rapporti con il Parlamento
Maria Elena Boschi intende farla arrivare in porto entro dicembre.
Preoccupate le associazioni del settore, che speravano in un iter rapido visto che la delega prevede tra l’altro l’introduzione di un regime di tassazione agevolato, l’istituzione di un apposito fondo rotativo nonché la possibilità di raccogliere capitali tramite portali on line. Fa eccezione il mondo del volontariato, che vede la riforma come una minaccia e ritiene che metta ai margini l’impegno volontario a favore di strumenti più “attraenti” o “di moda” come l’impresa sociale. Emma Cavallaro, presidente della conferenza permanente delle associazioni, federazioni e reti di volontariato (Con.vol) ha per esempio definito lo slittamento una “buona notizia” perché il testo licenziato dalla Camera “non tiene nella giusta considerazione il volontariato organizzato. E’ stato trattato in maniera assolutamente inadeguata come se non facesse parte del terzo settore mentre ne è elemento fondativo”.