La caduta del governo siciliano presieduto da Rosario Crocetta va ritenuta improbabile. A partire dall’eventuale nuova legislatura il numero delle poltrone disponibili per i deputati regionali verrà tagliato di 20 unità, passando da 90 a 70. Gettare la spugna ora, per molti degli inquilini di Palazzo dei Normanni, significa andare incontro al rischio di non essere rieletti, perdendo potere e pure ingenti entrate economiche.
Nello scorso gennaio, dopo aver calcolato il numero delle sedute dell’assemblea e la loro durata, alcuni osservatori locali erano giunti alla conclusione che in media i rappresentanti dei siciliani vengono ricompensati con “quasi 27 euro al minuto, ovvero 1.614 euro all’ora”. Si tratta di cifre importanti. Utili per comprendere l’encomiabile attaccamento dei nostri alla poltrona e lo straordinario appeal che suscita il Partito democratico in una regione che fino a pochi anni fa pareva per sempre votata al centro-destra.
Rivolgendo lo sguardo al futuro (il proprio) in questi primi tre anni di legislatura i deputati che hanno lasciato le loro formazioni per approdare a quella capitanata a Roma da Matteo Renzi sono ben otto, tanto che all’Ars il gruppo Dem conta adesso 25 poltrone, contro le 17 delle origini. Stare in maggioranza, del resto, consente a ciascuno di loro di avere voce in capitolo sulle scelte di spesa regionali e permette, in caso di nuova chiamata alle urne, di avere in mano delle carte da giocare per convincere gli elettori a concedere ancora la propria preferenza.
Ovviamente vale pure il contrario. I politici portatori di voti piacciono ai vertici dei Democratici perché con il loro rodato sistema di tessere e clientele li rafforzano. Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, proconsole di Renzi in Sicilia, questa strategia l’ha persino pubblicamente teorizzata.
Prima di attaccare (non senza ragioni) il governo Crocetta, Faraone in febbraio ha affermato: “Io dico no a un modello chiuso: ci vuole un atteggiamento aperto, senza avere paura. Non ci si deve porre problemi stile Troisi: Chi siete? Cosa volete? Un fiorino”.
Contemporaneamente entravano nel partito uomini che avevano fatto la fortuna di Cuffaro, Lombardo e Berlusconi: Nello Di Pasquale, due volte sindaco di Ragusa con Forza Italia; l’ex sindaco Udc di Agrigento, Marco Zambuto; Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Mpa all’Ars e Pippo Nicotra, ex sindaco di Aci Catena, celebre per essersi opposto nel ’93 al divieto di funerali pubblici per un parente di un boss e per poi essere anzi andato ad abbracciare platealmente al cimitero la famiglia del defunto (ideona che contribuì allo scioglimento per mafia del suo Comune).
L’elenco dei trasformisti accolti a braccia aperte dal Pd isolano è lungo e spesso imbarazzante. Accanto a nomi di spicco della gattopardesca borghesia autoctona come l’amico di Renato Schifani, Adelfio Elio Cardinale, o l’ex assessore alla Sanità di Cuffaro, Roberto Lagalla, compaiono pure personaggi come Luca Sammartino, diventato famoso suo malgrado per una serie di telefonate partite da una clinica dove lavora sua madre per invitare i malati di tumore a votare per lui. O come il trapanese Paolo Ruggirello che, prima di militare con Lombardo, si era fatto le ossa come assistente del socialista Bartolo Pellegrino, uomo politico noto alla cronaca nera per aver definito “infame” una persona che aveva osato parlare con i carabinieri.
Da questo punto di vista è innegabile che in Sicilia sia in corso una rottamazione. Quella di un partito sedicente erede di Pio La Torre. Il “nuovo” è davvero al potere e, sprezzante del ridicolo, chiede la testa di Crocetta. Senza rendersi conto di assomigliare sempre più a quel vecchio bue che dava del cornuto all’asino.
Il Fatto Quotidiano, 24 Luglio 2015