Ormai viviamo in un’economia totalmente globalizzata, il rallentamento della crescita in Cina o la decisione di alzare i tassi d’interesse negli Stati Uniti condizionano l’economia Europea e quella mondiale. Se, e quando, ci sarà una ripresa, questa dovrà necessariamente essere globale, l’idea che un continente o un blocco economico, come l’Unione Europea, non siano condizionati dal resto del mondo è dunque assurda, come è assurdo pensare che gli Stati Uniti escano da soli dall’attuale fase deflazionista.
In questa ottica dobbiamo leggere i dati pubblicati questa settimana per errore dalla Riserva Federale riguardo alla crescita dell’economia negli Stati Uniti e gli indici delle materie prime.
Sebbene la Fed abbia dichiarato che alcune delle previsioni pubblicate sono errate e che non hanno nulla a che vedere con la formulazione della politica monetaria statunitense, il quadro da queste descritto sembra molto più realista di quello presentato dalla Casa Bianca.
A settembre e a dicembre la Fed dovrebbe alzare i tassi d’interesse, ma la media nell’ultimo trimestre, secondo di dati pubblicati, sarà di appena lo 0,35 per cento, quindi molto bassa. Nel 2016 si dovrebbe passare all’ 1,26 per cento e poi al 2,12 per cento nel 2007. Quindi l’aumento sarà non solo modesto ma breve e la crescita economica rimarrà anemica. Le previsioni della Fed riguardo al tasso di crescita del Pil sono le seguenti: un modestissimo 1,6 per cento nel 2015, l’anno dopo si dovrebbe arrivare al 2,4 per cento mentre nel 2017 ci sarà una flessione, 2,2 per cento, e dal 2018 in poi il tasso di crescita non supererà 2 per cento.
Altri dati confermano la natura deflazionista dell’economia: l’inflazione rimane sotto la soglia ideale del 2 per cento e nei prossimi anni la disoccupazione non scenderà sotto il 5,2 per cento (al momento è al 5,3 per cento). Un valore storicamente alto per una nazione come gli Stati Uniti.
E’ molto probabile, dunque, che la locomotiva americana non partirà e quindi non ce la farà a trainare l’economia mondiale, anche se gli Stati Uniti saranno la prima nazione ad alzare i tassi d’interesse in dieci anni. E dato che né l’Europa, né la Cina, né i mercati emergenti sono prossimi ad una ripresa sostenuta della crescita, il mondo è destinato a soffrire ancora per un po’ a causa della deflazione.
Anche gli indicatori delle materie prime confermano il clima recessivo in cui l’economia mondiale sembra incapace di liberarsi. Secondo gli analisti il super-ciclo di crescita è ormai sul viale del tramonto. Nei prossimi mesi, e forse anche anni, i prezzi subiranno una flessione, in parte dovuta alla caduta della domanda globale ed in parte legata ai grossi investimenti nel campo delle materie prime fatti durante gli anni del boom dei prezzi.
A guidare il nuovo ciclo sono i costi energetici decisamente in calo. Se poi prendiamo in considerazione il ritorno dell’Iran sul mercato internazionale del petrolio e del gas naturale, sembra giusto prevedere che i prezzi energetici non saliranno neppure nel medio periodo.
L’unica variabile imprevedibile è il clima. Questo può ridurre drasticamente la produzione di beni alimentari, le cosiddette soft commodities, quali grano, riso, cereali ecc. Ma anche in questo caso sarà difficile che compensino la caduta dei costi energetici, i quali incidono enormemente sulla produzione agricola.
L’economia globalizzata, dunque, è ancora molto, molto lontana dalla fine del ciclo recessivo e deflazionista, come si evince dai dati della Riserva Federale.