Un’applicazione particolarmente evidente dell’uso della religione come instrumentum regni e giustificazione dell’oppressione di classe. Tutto ciò in un Paese economicamente molto arretrato, dove vige la shari’a e si realizza il sogno di ogni integralista islamico che si rispetti. Basti pensare che il presidente della Mauritania, Mohamed Abdel Aziz, ha salutato la condanna di Mohamed con queste parole davanti ad una folla di manifestanti raggruppati alla porta del suo palazzo: “Vi ringrazio di tutto cuore per la vostra partecipazione massiccia ad una manifestazione contro il crimine commesso da un individuo contro l’islam, la religione del nostro popolo, del nostro paese. La Repubblica Islamica di Mauritania, come ho già precisato in passato e riaffermo oggi, non è laica e non lo sarà mai… vi assicuro quindi che il governo e io stesso non lesineremo alcuno sforzo per proteggere e difendere questa religione e i suoi simboli sacri…”.
Il problema ovviamente, come accennato, non è affatto la difesa della religione ma quella di una sua interpretazione reazionaria che legittima il mantenimento del sistema di potere in vigore in Mauritania. In realtà Mohamed ha propugnato una critica e un’interpretazione diversa della stessa. Ha operato in una logica democratica e di classe e per questo è stato privato della libertà e vorrebbero ucciderlo. La sua difesa legale è stata praticamente resa impossibile con minacce e fatwa ai danni degli avvocati e di chiunque altro ne volesse prendere le difese. Ciò accade in un Paese con il quale l’Italia e l’Unione Europea intrattengono pacifici rapporti di collaborazione, specie sul piano economico.
Una ‘fatwa di morte’ è stata lanciata da Yehdhih Ould Dahi, capo della corrente islamista radicale Ahbab Errassoul (gli amici del profeta) contro Aminetou Mint Moctar, nota militante mauritana per i diritti umani, presidente della ONG AFCF (Associazione delle donne capi di famiglia), insignita nel 2006 del Premio per i diritti dell’uomo della Repubblica Francese, nel 2010 del Premio Eroe degli Stati Uniti e, sempre nel 2010, della medaglia di Cavaliere della Legion d’Onore Francese, una delle poche persone a prendere le difese del giovane M’Kheitir.Tale fatwa è del seguente tenore: ““Questa malvagia che difende Mkhaitir e va dicendo che si tratta di un detenuto di opinione, e che ha chiesto la sua liberazione e che venga restituito a sua moglie, questa donna che descrive gli amici del profeta come dei Boko Haram e dei Takfiri, solo perché chiedono il rispetto dell’onore del profeta, che sia dannata da Allah, gli angeli e tutta la gente insieme. Oggi io annuncio, con la benedizione di Allah, la sua apostasia per avere minimizzato l’oltraggio all’onore del profeta. E’ una infedele, del cui sangue e dei cui beni è lecito impadronirsi. Chiunque la uccida o le cavi gli occhi sarà ricompensato da Allah”.
Aminetou è stata di recente in Italia insieme alla sorella di Mohamed, Aisha, per cercare solidarietà, incontrando vari parlamentari e numerosi avvocati a Roma e Napoli, dove le due donne hanno ricevuto la solidarietà del sindaco Luigi De Magistris. Il processo contro Mohamed è seguito dall’Unione delle Camere Penali Italiane mediante i giudici Nicola Quatrano , in qualità di presidente dell’organizzazione Osservatorio internazionale per i diritti (OSSIN), e Giuliana Pollio. Tutti coloro che vogliano sostenere questa fondamentale battaglia per l’umanità, la libertà e la democrazia possono contribuire in questo modo.