Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) prova a mettere un freno alla discrezionalità con cui avvengono le nomine per gli incarichi di vertice negli uffici giudiziari. Con una convocazione dell’ultima ora, guidato dal vicepresidente Giovanni Legnini (nella foto con il capo dello Strato Sergio Mattarella) si riunisce domattina a Palazzo dei Marescialli il plenum preceduto da una riunione convocata già per questo pomeriggio: all’ordine del giorno il Testo unico della dirigenza che punta a fissare criteri oggettivi per l’individuazione del percorso professionale dei magistrati in vista degli incarichi di maggiore pregio. Una vera rivoluzione che renderà più trasparente e cioè più chiaramente leggibili, i criteri delle nomine, spesso al centro di polemiche asprissime. Ma la rivoluzione non è indolore come dimostra la dialettica molto accesa all’interno del Csm e tra gli uffici del Consiglio, quelli del ministero della Giustizia e, non ultimo, dei consiglieri del Quirinale. 

Fatto sta che a poche ore dall’appuntamento di domani mattina ancora si rincorrono le modifiche dell’ultimo minuto al testo che si tenta di far digerire ai più alti livelli istituzionali. “Con queste nuove regole, che non eliminano del tutto la discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura, non sarebbero più possibili nomine eclatanti che hanno inciso profondamente sulla fiducia di parte della magistratura verso l’organo di autogoverno: qui si tratta di rinunciare a quella libertà di manovra all’ombra della quale si sono pesate le correnti della magistratura e che ci è valsa in più di un’occasione l’accusa di arbitriarietà”, dicono a ilfattoquotidiano.it alcuni consiglieri del Csm che pur appartenendo a correnti diverse citano unanimemente un caso da prendere a modello. Quando infatti viene chiesto quali nomine non sarebbero state possibili con i nuovi criteri il nome che si fa è quello del nuovo capo della procura di Palermo Francesco Lo Voi. Magistrato stimatissimo – si dice quasi all’unisono – lungamente applicato ad Eurojust ma che è stato preferito a Guido Lo Forte e Sergio Lari che per anni hanno diretto e coordinato due uffici giudiziari che definire delicati rispetto al contrasto alla mafia è un eufemismo. Il caso, quello della nomina di Lo Voi da parte di un plenum in cui si saldò una maggioranza trasversale – come è noto – è finito anche di fronte alla giustizia amministrativa che alla luce delle norme in vigore (e per granitica giurispudenza) non ha alcun potere di sindacare le scelte del Csm non potendo entrare nel dettaglio della comparazione dei curriculum.

Alla luce dei criteri del Testo unico sulla dirigenza, l’esperienza sul campo peserà più degli incarichi fuori ruolo seppure prestigiosissimi: insomma un magistrato che non abbia già nel proprio percorso professionale la nomina ad un ufficio semidirettivo non potrà ambire al livello superiore neppure se abbia ricoperto ruoli di pregio presso istituzioni nazionali o internazionali. E le nuove regole saranno immediatamente applicabili a partire dai 165 incarichi del bando di fine giugno, che in molti casi riguardano uffici strategici: dalla procura di Milano e Bologna al Tribunale di Roma e Napoli passando per i presidenti di Corte d’appello di Genova e Firenze. Accanto al percorso professionale verrà valorizzato anche il criterio di genere se si pensa che attualmente l’85 per cento delle domande per gli incarichi proviene da magistrati uomini. Le nuove norme invece tenderebbero a cercare di riequilibrare le cose con un sistema di incentivi a favore dei dirigenti che tengano conto delle pari opportunità nell’attribuzione delle deleghe. E ancora: la procedura di conferma degli incarichi direttivi che avviene ogni 4 anni non sara più un fatto meramente formale, ma si baserà su verifiche puntuali dall’esito non scontato come è in questo momento.

Ma ovviamente l’elemento più importante è quello delle nomine e cioè dei criteri sulla base dei quali far prevalere un candidato all’incarico sull’altro che come detto sconta, oltre alle resistenze di alcuni componenti del Csm, quelle del ministero della Giustizia e del Quirinale che per motivi diversi hanno chiesto fino all’ultimo modifiche accarezzando forse l’idea di un rinvio all’autunno. Tentativi – sono definiti senza tanti complimenti – di evitare ingessature utili in realtà a preservare un privilegio a favore della cosiddetta magistratura d’elite, quella più vicina alla politica e alle sue massime istituzioni. Al dicastero di Andrea Orlando non sarebbe piaciuto l’attivismo del Csm che tenta, anche su questo punto specifico, la carta dell’autoriforma. Le preoccupazioni del Quirinale riguarderebbero invece quello che il presidente della Repubblica  Sergio Mattarella ha già esplicitato nel corso del plenum a cui ha partecipato recentemente: attenzione a rinunciare alla discrezionalità perchè poi – è stato il monito del Capo dello Stato – ci si mette nelle mani dei Tar con scenari, a quel punto imprevedibili.

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