L'istituzione di Washington nel rapporto periodico sull'economia dell'Eurozona mette nero su bianco che se la crescita resta così debole i tassi di disoccupazione sono destinati a non calare per un lungo periodo. Roma, poi, deve continuare a fare le riforme e in particolare aumentare l’efficienza del settore pubblico e migliorare quella della giustizia civile”. Padoan: "Stime non tengono conto delle riforme fatte o in corso di implementazione"
O la crescita economica accelera di molto, o l’Italia ci metterà vent’anni a riportare il tasso di disoccupazione, salito oltre il 12% e stabilmente sopra il 41% per i giovani, ai livelli pre crisi. La previsione è firmata dal Fondo monetario internazionale, che nel rapporto periodico sull’Eurozona spiega che anche il Portogallo a questo ritmo dovrà attendere il 2035 per veder scendere i disoccupati al livello del 2007. Alla Spagna, invece, di anni ne basteranno dieci. In generale, la disoccupazione nell’area euro è “alta e “probabilmente lo resterà per del tempo”. Attualmente, la disoccupazione nell’area della moneta unica resta in media superiore all’11%, mentre “la quota di disoccupati a lungo termine continua ad aumentare”. Una situazione che, anche alla luce dell’alta disoccupazione giovanile, “potrebbe danneggiare il capitale umano potenziale, portando a una generazione perduta”.
Seguono raccomandazioni specifiche per Roma, che sta “riemergendo da tre anni di recessione” ma dovrebbe “aumentare l’efficienza del settore pubblico e migliorare quella della giustizia civile”, “migliorare la flessibilità del mercato del lavoro e aumentare la concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi” nonché “adottare e attuare la prevista riforma della pubblica amministrazione, che dovrebbe includere riforme all’approvvigionamento dei servizi pubblici locali, delle gare pubbliche e della gestione delle risorse umane”.
Sullo sfondo, per l’eurozona resta indispensabile il supporto della Banca centrale europea con il suo programma di acquisto di titoli di Stato: “la cosa importante è che la Bce non sospenda gli acquisti fino a settembre 2016 perché pensiamo che siano necessari. Potrebbe servire anche andare oltre quella data”. L’Fmi prevede per la zona euro una crescita del Pil potenziale nel medio periodo “intorno all’1%”, anche se per quest’anno e per il prossimo le previsioni parlano di un +1,5% e un +1,7% rispettivamente. Secondo il Fondo le prospettive di crescita a medio termine sono “ridotte” per “la cronica mancanza di domanda, i bilanci deteriorati di banche e imprese” e perché “la debole produttività continua a frenare occupazione e investimenti”. Serve dunque un’azione per ripulire i bilanci degli istituti di credito dell’eurozona e incoraggiarli a concedere prestiti e a spingere gli investimenti. Il rapporto esorta inoltre la zona euro a ulteriori riforme per migliorare i mercati del lavoro e dei servizi, mentre la produttività richiede sforzi maggiori.
Da Roma il Tesoro ha precisato che la stima del Fondo sull’occupazione italiana è “basata su una metodologia che non tiene conto delle riforme strutturali che già sono state introdotte”. L’Fmi, recita una nota del ministero, non tiene conto, per esempio, della “riforma del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro” né di quelle che “sono in corso di implementazione (per esempio l’efficientamento della pubblica amministrazione)”. Che pure nel rapporto è citata esplicitamente, tanto che se ne auspicano l’adozione e l’implementazione. Secondo il dicastero di Pier Carlo Padoan la metodologia dell’Fmi “utilizza previsioni di crescita del Pil che, prudenzialmente, non tengono conto dell’effetto delle riforme. Inoltre anche l’effetto della crescita del Pil sulla occupazione (il cosiddetto “coefficiente di Okun”) è basato sulla esperienza passata, quella pre-riforme, e quindi non tiene in considerazione l’effetto che le riforme avranno sulla occupazione a parità di crescita”. Non solo. “I dati sull’andamento del mercato del lavoro degli ultimi mesi sembrano confermare l’impatto dell’azione congiunta delle riforme e della leva fiscale, con risultati migliori del aspettative”.
Peccato che i dati del ministero del Lavoro sul mese di giugno, diffusi proprio lunedì, evidenzino che il saldo fra attivazioni e cessazioni di contratti a tempo indeterminato è stato negativo per la prima volta dall’inizio dell’anno: i contratti cessati sono stati 9.768 rispetto a quelli attivati. Considerando anche le 34.651 trasformazioni di rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, che vengono contabilizzate a parte, torna positivo per 24.883 unità.