Dal 1° gennaio al 15 luglio in Iran sono state eseguite 694 condanne a morte, una media di oltre tre al giorno.
In sei mesi e mezzo, è stato messo a morte quasi lo stesso numero di persone del 2014 (743). Anche comparando i dati ufficiali, ossia quelli relativi alle sole esecuzioni rese note dal governo di Teheran, la situazione non cambia: 289 nel 2014, 246 finora.
Se la tendenza proseguirà nella seconda parte del 2015, alla fine dell’anno sarà stato superato il numero di 1000 esecuzioni.
La discrepanza tra il totale delle esecuzioni e i dati ufficiali è determinata dal fatto che oltre la metà di queste si verifica all’interno delle carceri e viene alla luce solo grazie al lavoro degli attivisti locali per i diritti umani. In pubblico, spesso di fronte a grandi folle, si svolgono le esecuzioni che devono fungere da spauracchio per la popolazione.
Anche quest’anno, la maggior parte delle condanne a morte eseguite riguarda reati di droga. Secondo le autorità giudiziarie iraniane, si tratterebbe di circa l’80 per cento del totale.
In Iran, la pena di morte è la sanzione obbligatoria per il traffico di oltre cinque chilogrammi di derivati dall’oppio e per oltre 30 grammi di eroina, morfina, cocaina o loro derivati.
I programmi anti-droga iraniani sono sostenuti dalle Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani chiedono perché un organismo che ogni anno approva una risoluzione abolizionista debba finanziare le esecuzioni in un altro paese.
Oltretutto, che la pena di morte sia un deterrente nei confronti del traffico e del consumo di droga è assai dubbio. Lo stesso vicedirettore del Centro per le ricerche strategiche dell’Iran ha ammesso che la pena capitale non è in grado di ridurre la dimensione del traffico (qui un link, in lingua farsi, alle sue dichiarazioni).
Dell’altro 20 per cento di detenuti messi a morte facevano parte persone accusate di “moharebeh” (“inimicizia verso Dio”) o di “corruzione sulla Terra” (Sura 5, versetto 33 del Corano), compresi prigionieri politici curdi e appartenenti ad altre minoranze etniche e religiose.
Non c’è alcun segnale che la situazione possa cambiare. Nei bracci della morte dell’Iran si trovano migliaia di prigionieri per i quali ogni nuovo giorno può essere l’ultimo. In molti casi, le esecuzioni vengono notificate poche ore prima. Non è raro che i familiari delle persone messe a morte siano informati giorni, e persino settimane, dopo.