Il presidente della commissione riforme di palazzo dei Marescialli sull'emendamento già bocciato da Gratteri e Sabelli :"Sono termini lontani anni luce da quello che hanno dimostrato le indagini negli ultimi tempi". E in più a causa delle recenti norme sulla responsabilità civile dei magistrati "l'inquirente con troppo poco tempo per valutare indagini complesse potrebbe alla fine optare per uno sbocco minore nelle contestazioni agli indagati"
“Più che una riforma questo è un autogol, una legge che non guarda minimamente alla realtà giudiziaria del nostro Paese”. Parola di Piergiorgio Morosini, presidente della commissione riforme del Csm, che commenta così la proposta di legge che impone ai pm il limite di tre mesi, dopo la fine delle indagini, per depositare la richiesta di rinvio a giudizio, o di archiviazione, al gip. Dopo l’allarme lanciato dal presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, e le aspre critiche del pm Nicola Gratteri, dunque, anche Morosini boccia quella norma inserita nella riforma del processo penale. “Sono termini lontani anni luce da quello che hanno dimostrato le indagini negli ultimi tempi”, dice Morosini, che è stato per anni gip a Palermo.
“Alla fine di un’indagine il pm deve per forza rielaborare, compendiare e analizzare tutto il materiale probatorio acquisito: ma in un’indagine complessa come si fa a tenersi dentro i tre mesi? ” si chiede il componente di Palazzo dei Marescialli. Che poi argomenta citando i dati emersi dagli ultimi mesi di attività inquirente delle procure italiane: “I dati parlano chiaro: le ultime inchieste hanno portato allo scoperto un sistema criminale diffuso, composto da numerosi soggetti, accusati a vario titolo di numerosi reati. Qualche esempio? Penso a Mafia capitale, ma anche all’indagine Aemilia, o alle inchieste sugli appalti in Lombardia: come fa in casi simili l’inquirente a passare in rassegna centinaia di elementi, su centinaia di indagati e diverse fattispecie di reato in soli tre mesi?”. Per il consigliere togato, il rischio è che “dal Parlamento esca fuori una riforma che non abbia niente a che vedere con la realtà giudiziaria del Paese, ma che al contrario rischia di deformare le inchieste”.
Ma non solo: perché il limite dei tre mesi, sommato alle recenti norme sulle responsabilità civile dei magistrati potrebbe nei fatti essere causa implicita d’impunità. “Comprensibilmente potrebbe capitare che l’inquirente con troppo poco tempo per valutare indagini complesse, abbia paura di sbagliare, e che alla fini opti per uno sbocco minore nelle contestazioni mosse agli indagati”. Per Morosini, relatore per il Csm di un parere depositato al governo sulla riforma del processo penale, la soluzione è contenuta in un’elasticità di quel termine di tre mesi. “Capisco che si voglia regolamentare il termine d’indagine, ma bisogna sempre pensare alla qualità delle inchieste, al numero degli indagati e alla complessità dell’attività d’indagine: le indagini non sono tutte uguali, mettere dei criteri temporali fissi rischia di amputare quelle più delicate”. E quindi quelle su mafia e corruzione.
Un’opinione, quella di Morosini, condivisa anche da Maria Teresa Principato, procuratore aggiunto di Palermo e coordinatrice delle indagini su Matteo Messina Denaro, l’ultima primula rossa di Cosa nostra. “Ha idea di cosa ci sia da fare prima di depositare e quindi elaborare una richiesta al gip? Ascoltare tutte le intercettazioni, le informative di polizia, capire quali sono quelle rilevanti, decidere se, sulla base del materiale raccolto, si possa chiedere o meno il rinvio a giudizio dell’indagato”, spiega il procuratore aggiunto . “Un lavoro – prosegue – che per le maxi indagini per mafia, con decine e decine d’indagati, non si può certo fare in così poco tempo: forse su un furto di energia tre mesi vanno bene, ma se la riforma passa così le indagini antimafia subiranno un duro colpo”.
Dalla Sicilia alla Puglia, dalle indagini antimafia a quelle sulla Sacra Corona Unita, l’allarme delle toghe per la riforma del processo penale non si spegne. “Bisogna chiedersi: il termine di tre mesi velocizza o meno la giustizia? Io credo di no”, dice Milto De Nozza, sostituto procuratore a Brindisi. “In tre mesi posso forse chiedere il rinvio a giudizio per un caso di caccia non autorizzata, ma basta fermarsi ai numeri: a Brindisi ricevo 1.400 notizie di reato all’anno, in pratica dovrei smaltirne quattro al giorno, indipendentemente dalla tipologia del reato. Non credo che alla fine siano queste le riforme che servano alle procure di frontiera “.