Spese “sovrastimate“, misure di spending review “inefficaci“, dubbi sulla sostenibilità delle correzioni previste dal governo. I tagli alla sanità dettagliati nel decreto Enti locali sulla base dell’accordo firmato il 2 luglio in conferenza Stato-Regioni spaventano i cittadini. Ma secondo i tecnici del Senato il rischio principale è che l’auspicato contenimento della spesa di oltre 2,3 miliardi l’anno dal 2015 al 2017 si riveli l’ennesimo flop. E non contribuisca affatto alla manovra di revisione della spesa del commissario Yoram Gutgeld, indispensabile per permettere la riduzione delle tasse promessa dal premier Matteo Renzi. Questo al netto del fatto che l’intesa con le regioni prevedeva che i risparmi venissero reinvestiti nel servizio sanitario. I presupposti per l’insuccesso, secondo il servizio bilancio di Palazzo Madama, ci sono tutti. Nella “nota di lettura” sugli emendamenti governativi, i tecnici incaricati di verificare gli effetti finanziari di ogni norma di legge evidenziano infatti che gli interventi per ridurre le uscite per beni e servizi e le prestazioni “inappropriate” fanno acqua. Molti capitoli di spesa, poi, non possono essere tagliati ulteriormente perché già ridotti all’osso, come ha fatto presente anche il ministro Beatrice Lorenzin: il Fondo sanitario nazionale è sceso dagli oltre 112 miliardi del 2009 a 110. Quanto all’ipotesi di far pagare a grossisti e farmacisti una parte dell’eventuale spesa in eccesso sostenuta dalle regioni, a bocciarla ci ha pensato la settimana scorsa il Tar del Lazio. Fatte le somme, balla circa 1 miliardo. Per ora comunque Palazzo Chigi va avanti senza ripensamenti. E martedì, dopo che lunedì è mancato per quattro volte il numero legale, intende porre la fiducia sul decreto, che dovrà poi passare alla Camera.
Rinegoziare i contratti? Non c’è tempo. E le aziende potrebbero mettersi di traverso – Il caveat più pesante del servizio bilancio riguarda proprio la voce da cui dovrebbe derivare la sforbiciata più corposa: la razionalizzazione della spesa per beni e servizi. L’emendamento del governo stabilisce che i contratti di fornitura siano rinegoziati con l’obiettivo di abbattere i costi del 5% su base annua. Vale a dire, come dettagliato nella relazione tecnica, 788 milioni nel 2015 e 805 milioni l’anno dal 2016. “Al riguardo, si rappresenta la difficoltà di conseguire un risparmio pieno nell’anno in corso”, avvertono i tecnici. Il problema è che quei 788 milioni dovrebbero essere assicurati nel periodo tra l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e la fine dell’anno: solo pochi mesi, insufficienti per mettere a segno riduzioni di spesa “calcolate su base annuale”. Non solo: “Andrebbe valutata la possibilità dell’insorgere di contenziosi e l’adozione di comportamenti da parte degli operatori privati volti a ridimensionare l’impatto della norma fornendo prodotti di minore qualità ovvero sfruttando, in taluni ambiti, una situazione di sostanziale monopolio“.
Per i tagli sui dispositivi medici non c’è più margine di manovra – Osservazioni molto simili per quanto riguarda i contratti di fornitura di dispositivi medici, dalla cui rinegoziazione il governo si attende risparmi per 205 milioni quest’anno e 544 a partire dal 2016, “corrispondenti a una riduzione della spesa tendenziale pari al 9% annuo”. In più i tecnici sottolineano che “nell’arco di due anni si è già registrato un calo di tale aggregato di spesa da 7 a 5,7 miliardi di euro circa”, per cui “la possibilità di realizzare la correzione prospettata appare condizionata”.
I recuperi a carico delle aziende bocciati dal Tar – Sotto il lentino finisce anche il meccanismo del cosiddetto pay back, cioè l’obbligo per le aziende produttrici di dispositivi medici di contribuire al ripiano dell’eventuale sfondamento del tetto del 4,4% del totale del Fondo sanitario regionale. In pratica, i fornitori delle aziende sanitarie basate in regioni che spendono troppo dovrebbero rifondere il 40% dello sforamento nel 2015, il 45% nel 2016 e il 50% dal 2017. La relazione tecnica parla di 345 milioni di euro quest’anno e 248 dal prossimo. Il servizio bilancio si limita a notare che “andrebbe valutata la sostenibilità del complesso della correzione operata nel settore per le imprese interessate”. Ma la questione è già finita nel mirino del Tar del Lazio, che ha dato ragione all’Associazione distributori farmaceutici annullando un provvedimento con cui l’agenzia del farmaco (Aifa) prevedeva che a pagare non fossero solo le aziende farmaceutiche ma, appunto, tutta la filiera. E ora è atteso un ulteiore pronunciamento sul ricordo presentato da Federfarma.
Risparmi su ricoveri e personale ospedaliero poco dettagliati – “Perplessità” vengono poi sollevate sulla “conseguibilità dei risparmi nella misura indicata per l’anno in corso” con la prevista riduzione delle prestazioni inappropriate, che passerà anche attraverso tagli della parte variabile dello stipendio ai medici che le prescivono. Si tratta “solo” di 22 milioni, ma è tutta da dimostrare “l’efficacia dei meccanismi sanzionatori previsti”, si legge. In più, “andrebbe chiarita l’origine del dato relativo alla riduzione dei costi variabili connessi alla minore erogazione delle prestazioni di assistenza specialistica, stimato pari a circa il 30%”.
Troppo poco dettagliate, infine, le modalità con cui il governo intende tagliare i costi connessi ai posti letto in ospedale e al personale ospedaliero: “Andrebbero forniti elementi a supporto dei risparmi indicati dalla relazione tecnica in rapporto all’aumento del tasso di occupazione dei posti letto, alla riduzione della durata della degenza media e del tasso di ospedalizzazione nonché alla revisione della programmazione degli investimenti”. In più, “anche in relazione a tali risparmi si solleva la questione inerente i tempi disponibili per l’attuazione degli interventi nel 2015”.