Davide non rischia di perdere lo scuolabus al mattino, si alza con calma insieme alla sorella e si preparano la colazione. Poi, insieme alla mamma, decidono cosa fare durante la giornata. Davide e Sofia non vanno a scuola: i loro genitori hanno scelto, come previsto dalla legge italiana, di occuparsi da sé dell’educazione dei figli.
La scuola parentale è un’alternativa alla formazione ordinaria. Per sceglierla basta inoltrare una dichiarazione al dirigente scolastico in cui si precisa di “essere in grado, in termini di competenze tecniche e di possibilità economiche, di garantire per il proprio figlio l’adempimento dell’obbligo di istruzione e formazione” dai 6 ai 16 anni. Una moda? Un rifiuto del tradizionale percorso previsto dalle istituzioni? Una scelta di nicchia? Di certo non sono molti i genitori che possono permettersi di organizzare la propria giornata lavorativa includendo l’istruzione dei propri figli.
Negli Stati Uniti, dove l’homeschooling è già una realtà affermata, hanno ricevuto un’educazione parentale il 3% degli studenti totali. Dal Miur risulta che “il dato richiesto non permette di distinguere l’istruzione parentale impartita dalla famiglia da quella erogata da strutture esterne al sistema scolastico nazionale”. In attesa che il Ministero “raffini la rilevazione di questa informazione”, gli unici dati disponibili arrivano da Erika Di Martino, pioniera dell’educazione parentale e amministratrice del sito Controscuola, riferimento italiano per l’homeschooling dove le famiglie possono attingere per informazioni pratiche o proposte di programmi educativi.
“I dati non sono certi, posso dire che sono sempre di più i genitori che si rivolgono a me per avere chiarimenti sulla scuola parentale e secondo le stime sono circa un migliaio le famiglie che hanno scelto di non mandare a scuola i propri figli”, spiega Di Martino. “La maggior parte delle coppie che sceglie la scuola parentale sono insegnanti, sinonimo che il malessere non riguarda solo gli scolari ma anche maestri e professori. Riteniamo che la scuola non sia in grado di assolvere i doveri educativi e che il sistema sia antiquato: programmi ministeriali serrati, regole, disciplina, punizioni, voti e giudizi non sono tarati sulle esigenze dei piccoli e la scuola sembra sempre di più un’azienda invece che un istituto formativo”, continua Di Martino.
L’homeschooling non ha linee pedagogiche precise, il mantra è promuovere la libertà individuale del bambino affinché possa scoprire da solo il mondo esterno e le proprie attitudini personali. I promotori dell’educazione a casa sostengono che attraverso un percorso personalizzato e il gioco il bambino inizi il suo percorso di apprendimento senza sentire la fatica delle regole, perché di fatto non ce ne sono. “Stare seduti per cinque ore e poi tornare a casa e fare i compiti non è la vita adatta a un bambino”, osserva l’amministratrice di Controscuola, “essere costretti in un posto in cui ogni esigenza è incasellata in un modello standardizzato non è un modo di crescere in un ambiente sereno”.
Luisa Piarulli, presidente dell’Anpe, Associazione nazionale pedagogisti italiani, è più cauta sull’argomento. Come esperta dell’ambiente educativo ritiene che uno dei problemi principali sia proprio la mancanza di sinergie tra insegnanti e famiglie. Racconta Piarulli: “I genitori hanno la tendenza a trovare negli altri il problema per non affrontare le loro debolezze e non prendersi responsabilità. Di recente un’insegnante mi ha raccontato di aver chiamato a casa perché aveva visto un alunno marinare la scuola e la madre ha tentato di coprire il figlio con scuse ridicole”.
La scuola, ammette Piarulli, “è piena di problemi, ma questo modo di spianare la strada ai propri figli togliendo gli ostacoli è deleterio. Non metto in dubbio la buona fede di quelli che scelgono la scuola parentale, ma evitare l’ambiente scolastico è un modo di chiudere un bambino in una campana di vetro. Quando poi diventeranno adulti come si adatteranno?”, si chiede la pedagogista. “Ci saranno dei posti di lavoro in cui non esistono problematiche? Senza un confronto, il bambino si trova sprovvisto di quelli che sono dei riferimenti sia positivi che negativi ed è importante per costruire una concezione di sé. Litigare fa bene, scoraggiarsi è normale, se si riesce a creare un’empatia tra alunno, insegnante e famiglia si costruisce un modello che sarà sempre dalla parte dei piccoli, ma allontanarli da quello che è il loro ambiente naturale non li protegge, li penalizza”.
E la scuola, in Italia, continua a essere penalizzata: dallo studio Ocse Education at a Glance del 2014 emerge che tra i 34 esaminati, l’Italia è il solo Paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011 e una riduzione del 5% del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011. All’ultimo posto, almeno per quanto riguarda i finanziamenti dello Stato.