La Musica è Lavoro

Simone Cristicchi: “Oggi la musica è un imbuto strettissimo. Ma senza i talent potrebbe andare persino peggio…”

Mentre sta per debuttare con il nuovo spettacolo "Il secondo figlio di Dio”, il cantautore romano racconta la sua nuova carriera teatrale e fa il punto sul difficile momento del panorama musicale in Italia

di Elisabetta Reguitti

Simone Cristicchi si accinge a salire sul Monte Labbro, ad Arcidosso in provincia di Grosseto, con il suo “Il secondo figlio di Dio”, anteprima in programma il 10 agosto del nuovo spettacolo. Un testo scritto ispirandosi a una vicenda realmente accaduta, con protagonista David Lazzaretti, detto il “Cristo dell’Amiata” o il “profeta di Arcidosso”.

Da “Ti regalerò una rosa”, canzone di grande successo vincitrice del Festival di Sanremo nel 2007, all’interpretazione di un personaggio conosciuto da pochi come David Lazzaretti. Nel mezzo una carrellata di “dimenticati”, tra cui matti, soldati, esuli e minatori. È proprio il caso di dire per lei la musica è uno studio più che un lavoro?
La musica per me è uno strumento, il veicolo per divulgare le storie che vado cercando. Tutto nasce dalla ricerca. Il palco diventa la piazza nella quale il potere del genere musical-civile ha libero sfogo e incontra la gente. La mia narrazione in teatro è divulgazione di fatti e di storie di persone, spesso dimenticate. Sul palco questi umili eroi rivivono e incontrano il pubblico. Io proseguo la mia strada sapendomi accompagnato con affetto e attenzione nei miei “viaggi”. Nei miei spettacoli migliaia di uomini e donne, spesso vittime senza nome, sono protagonisti, loro malgrado, della grande storia. Io presto la mia voce affinché rivivano e possano raccontarsi, come è avvenuto, ad esempio per l’esodo dalle terre dell’Istria e della Dalmazia dopo la seconda guerra mondiale. Fatti e persone protagonisti di “Magazzino 18”.

Se Cristicchi fosse una barca si potrebbe dire che ha virato verso le storie della vita, più che cavalcato l’onda del successo a tutti i costi…
Ho solo seguito il mio istinto e usato le mie antenne per captare. Posso dire di aver agito spesso a discapito del marketing ma a favore di un innamoramento. Il più delle volte scontentando il responsabile della mia casa discografica, non sempre d’accordo con le mie decisioni. Ciò che mi dà ragione e mi incoraggia a proseguire su questa strada è il risultato. Infatti i rientri economici dei miei spettacoli non solo mi permettono di vivere, ma anche di reinvestire in progetti e processi creativi nuovi. Sono un artista che riesce a fare quello che vuole senza lavorare per un padrone. Mi prendo gli applausi e i riconoscimenti delle persone che, attratte dalla mia faccia sul cartellone, vengono ai miei spettacoli, ma mi assumo anche l’eventuale rischio di un flop. Ho scelto di essere libero e, insieme con me, lo sono le famiglie di tutti i collaboratori e amici coinvolti nei miei progetti, nati per lo più proprio da storie riemerse dall’oblio, dalle pagine di storia strappate e rimosse.

Se dovesse spiegare con un’immagine l’attuale panorama musicale come lo descriverebbe?
Lo vedo abbastanza da lontano, il mio ultimo disco risale a due anni e mezzo fa e da tre frequento di più il mondo del teatro. Mi sono un po’ distaccato dalla realtà delle classifiche e dai programmi televisivi, anche se vi partecipo comunque volentieri quando mi invitano. Oggi però la musica per i ragazzi è come un imbuto dal quale si è costretti a passare. Mi riferisco alla musica nata e divenuta popolare attraverso la televisione. Una modalità di diffusione oggi molto più utilizzata di quanto avvenisse quando ho iniziato io. Si tratta dunque di uno stretto passaggio obbligato che può anche strozzare chi vi si avvicina. Ne possono derivare carriere dal respiro e dalla vita brevi, musicisti e cantautori frustrati, a rischio di vivere un “non successo” come la fine di tutto. D’altra parte se non ci fosse la possibilità dei talent, la situazione potrebbe essere anche peggio.

Cosa intende?
La realtà è che, al di là di una decina di nomi – tra cui Jovanotti o Luciano Ligabue – capaci di richiamare grandi platee, i concerti sono in grande crisi. Il calo di interesse non coinvolge solo l’artista, ma tutto l’indotto di tante professionalità necessarie a realizzare uno spettacolo dal vivo e la produzione di un disco: musicisti, arrangiatori, tecnici del suono, solo per citarne alcuni. Il successo di pubblico di un concerto non è solo fondamentale alla crescita dell’artista, deve far girare un sistema economico fatto di lavoratori altamente specializzati sui quali si reggono i progetti e il futuro di famiglie. Oggi tutto questo mondo di cultura e economia nel nostro paese è messo in difficoltà da vari fattori, fra i quali anche la diffusione attraverso le radio.

Perché?
C’è una disparità plateale in Italia tra lo spazio destinato alla diffusione della musica italiana e quello di fatto riservato a quella straniera. Azzardo un 30 contro 70 per cento. La radio resta un canale di diffusione musicale di grande impatto, pertanto si dovrebbe intervenire nelle scelte della programmazione puntando a privilegiare e valorizzare il buon prodotto italiano. Un po’ come fanno in Francia dove, per legge, si impone una diversa suddivisione percentuale di diffusione musicale via radio, a tutela della produzione nazionale rispetto a quella estera.

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