Piazzetta Cuccia calcola che a partire dal 2008, tra aumenti di capitale finanziati con soldi pubblici e introiti fiscali persi, il Vecchio continente ha speso per gli istituti di credito più di quanto è andato alla Grecia per tutti i piani di salvataggio varati finora. In più le banche europee hanno "bruciato" tra svalutazioni e spese legali ben 178,5 miliardi. Per gli Usa il conto è stato di 142,5 miliardi
Un “conto” da 221 miliardi: quasi quanto tutti i piani di salvataggio varati fino a oggi per la Grecia. Tanto sono costate ai bilanci degli Stati europei le crisi delle grandi banche iniziate nel 2008. Se poi si considerano anche le iniezioni di capitale a beneficio degli istituti più piccoli, come le Landesbank tedesche e le Cajas spagnole, le uscite lievitano ulteriormente, a 285 miliardi. A fare i conti è l’ufficio studi di Mediobanca, nel rapporto sulle “Principali banche internazionali” che prende in esame 32 gruppi bancari europei, 15 del Giappone, 13 statunitensi e 10 cinesi. Gli analisti di Piazzetta Cuccia annotano innanzitutto che le crisi bancarie in Europa hanno ridotto gli introiti statali da imposte, nel periodo 2009-2014, di 87 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti i 180 miliardi di euro di aumenti di capitale a favore degli istituti in difficoltà finanziati dagli Stati, da cui vanno però detratti i 46 miliardi di capitale restituito. La fattura finale si attesta così a 221 miliardi. Non è un caso se l’anno scorso il Parlamento europeo ha varato una direttiva (quella sul cosiddetto bail-in) che modifica in modo sostanziale le regole sul risanamento degli enti creditizi, prevedendo che i costi dell’eventuale salvataggio ricadano su azionisti, obbligazionisti e correntisti con depositi superiori ai 100mila euro.
I costi della crisi bancaria europea per il contribuente peggiorano ulteriormente includendo il peso delle Landesbank tedesche, che in sette anni hanno ricevuto dai soci (per lo più pubblici) 25,3 miliardi, e delle casse di risparmio spagnole, che hanno ceduto alla pubblica Sareb 39 miliardi netti di posizioni deteriorate. A differenza di quello di Atene, i salvataggi bancari non hanno trovato opposizione nè nel Nord e nè nel Sud dell’Europa.
Quanto ai risultati di bilancio, oggi, con gli Usa già usciti dalla recessione e l’Europa che recupera con fatica, la redditività degli istituti del Vecchio continente è ferma al 4,3%, il 75% in meno rispetto agli anni pre crisi. Al contrario oltreoceano la redditività è risalita al 6,7%, il 55% in meno rispetto al precrisi. Risultato: nel 2014 gli utili delle maggiori banche statunitensi sono stati doppi rispetto a quelli dei principali istituti europei. Nello specifico, gli utili delle realtà Usa inserite nel campione sono stati pari al 18,2% dei ricavi, contro il 9,8% fatto registrare dal gruppo delle europee. A pesare, oltre ai minori costi di struttura (64,2% dei ricavi negli Usa, contro il 68,5% dell’Europa), sono state le svalutazioni dei crediti, limitate al 4,6% del totale negli Usa contro il 10,3% dell’Europa.
Infine, a sopresa, le banche con ritorni più elevati sono quelle che fanno più credito: in Europa le banche commerciali hanno un indice di redditività (return on equity) del 5,1% rispetto al 3% di quelle concentrate sulle attività finanziarie.