La dimensione del live è sempre più importante per un artista. Come mai?
Per buona parte della musica italiana è decisamente così. Il live inteso come concerto è diventato la prima forma di sostentamento per le band, per certi versi è anche una sorta di garanzia di indipendenza e sviluppo artistico. Provo a spiegarmi meglio: una band produce quello che vuole e si confronta con il pubblico in una relazione vera e senza filtri. Se piace riempie i concerti, in caso contrario no. E in questo processo ha la possibilità di sviluppare la parte musicale. Credo sia la prima volta dopo decenni che il live torna ad essere centrale per gli artisti.
La scena indipendente ha poco spazio sui media, nonostante negli ultimi anni siano nati fenomeni importanti, anche dal punto di vista discografico. Come ti spieghi questo trattamento da parte dei media?
Si tratta di un problema annoso che vorrei affrontare in maniera diretta. Ma cosa è’ la musica indipendente? Esiste ancora? È una chimera? Un recinto? Un’opportunità? Mi sembra che la musica indipendente negli ultimi10 anni abbia perso spazi e smalto e i motivi sono molteplici. Provo ad elencarne alcuni ma senza la pretesa di individuare cause o trovare rimedi. La distrazione e la crisi delle case discografiche, dei produttori e dell’intero comparto; l’avvento del fenomeno Hip hop che si è ritagliato quote di mercato e spazi generazionali, insegnando molto in termini di spregiudicatezza e gestione degli artisti. Infine i talent televisivi che hanno drenato le ultime risorse delle case discografiche. Tornando alla domanda rispetto ai media, credo che in Italia ci siano gruppi editoriali che fanno più attenzione ai fatturati che allo spazio a sperimentazioni o nuovi linguaggi. Fanno giustamente le loro scelte di palinsesto…
Con i cambiamenti in atto nel panorama musicale, si sono sviluppate figure lavorative nuove rispetto al passato. Quali sono quelle più importanti?
Sì, le opportunità di lavoro si sono moltiplicate. Alcuni grandi live negli stadi muovono decine di migliaia di persone e raggiungo fatturati impressionanti. L’Italia, dopo anni bui, ha recuperato terreno sui grossi eventi tornando a livelli europei e credo che le figure professionali più importanti sono quelle che non vediamo. Senza voler fare un discorso di sinistra, penso che gli artisti vanno e vengono ma fonici, tecnici, datore luci, back liner e tutti gli altri rappresentano “un’edera sana sulla pianta della musica”. Negli ultimi 10 anni ho visto crescere molte di queste figure e ritengo che bisognerebbe ipotizzare di sostenere il settore dei professionisti della musica con sgravi fiscali. Faccio un esempio: un tecnico base per una giornata di lavoro può guadagnare 100 €, che sembrano tanti, ma il carico fiscale può raggiungere anche il 50% della cifra. Se aggiungi che non lavora tutti i giorni dell’anno e magari si deve accollare anche le spese della trasferta, i conti sono fatti.
Con la tua attività sei particolarmente attivo al Sud. Come mai? C’è più talento da scoprire da quelle parti?
Scherzando lo chiamo fattore K, ovvero fattore kulo, altro che talent. Pur avendo base a Milano sono molto “provinciale e Sudista” nelle mie scelte. Insomma, tutt’altro che leghista.
Cosa serve per avere successo nella musica?
Oltre al fattore K, non saprei. Io mi sento un fortunato e salvato dalla musica: negli anni Sessanta c’erano gli impresari, nei Settanta i produttori pazzi e visionari e i cantautori, negli Ottanta la speculazionee alcuni centri sociali che facevano una grande programmazione dando il via alle Posse e ai gruppi italiani Alternative. Nei Novanta il Nero e zero assicurazioni di lavoro, nel 2000 ci stiamo aggiustando…
Io mi considero un rappresentate del mondo della musica, guido molto, mi sposto, sono molto presente, ho la fortuna di incontrare artisti molto “polemici e vitali” e questo oltre ad essere una discreta rottura di palle è una discreta palestra. Insegna moltissimo.
Quali sono le realtà lavorative (club, agenzie e management) che stanno maggiormente innovando il panorama italiano?
Esistono realtà molto interessanti al di fuori delle multinazionali che operano in Italia, detenendo l’80 per cento del mercato. Alcuni esempi in ordine sparso: Magnolia e Santeria a Milano, che stanno lavorando con indipendenza e coraggio ad una programmazione assolutamente all’altezza di realtà europee. Quest’anno con loro ho partecipato, come studente, ad un corso di formazione sul management musicale ed ho imparato molto, mi ha impressionato il livello degli insegnanti, ma soprattutto l’attenzione degli studenti, tutt’altro che rock ‘n roll, nel senso cattivo del termine.
Da tempo in Italia esiste la realtà Assomusica, l’associazione dei Promoter e degli organizzatori di concerti in Italia: andatevi a vedere anche in Rete i lavori svolti da questa importante associazione, che non è la Confindustria della musica, ma una realtà seria di sviluppo e bonifica di un comparto.
Segnalerei anche un paio di agenzie indipendenti che sviluppano in maniera molto interessante la musica italiana e lo fanno nella quotidianità e nelle mille difficoltà economiche del nostro paese: Antenna Music Factory, Picicca con Brunori sas, Cyc Promotion e BPM Concerti.