“La riforma del processo penale? Rischia di essere totalmente fuori dalla realtà. Certe leggi vengono fatte o per cattiva conoscenza o per cattiva coscienza. La sensazione è che le leggi vengono realizzate da chi non ha alcuna conoscenza delle reali dinamiche che si verificano nei processi“. E’ il severo giudizio che Otello Lupacchini, sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, dà del ddl sul processo penale in discussione alla Camera. Il magistrato, ospite di Ecg Regione Lazio, su Radio Cusano Campus, ribadisce l’allarme lanciato da Anm circa il limite di tre mesi per condurre le indagini, ma precisa: “Non si tratta di condividere l’Anm o Gratteri su questa questione. Il punto è che in questo ddl i tempi delle indagini preliminari restano gli stessi, ma si penalizza la fase valutativa degli elementi raccolti, una valutazione indispensabile per stabilire se rappresentano prove sufficienti per il rinvio a giudizio. Un conto è raccogliere quegli elementi attraverso le indagini della polizia giudiziaria, un conto è valutare quegli elementi ai fini del decidere. Non basta aver raccolto elementi, bisogna anche valutarli“. E rincara: “Stabilire tre mesi di tempo per questo è una solenne idiozia: a volte basteranno dieci minuti, altre volte occorreranno mesi e mesi di riflessione per stabilire se esistano o meno i presupposti per una richiesta di rinvio a giudizio, che implica individuazione dei reati, delle prove di quei reati, possibilità di trasformare gli elementi raccolti in prove sufficienti per una condanna. Tre mesi, rispetto a un determinato tipo di indagine, possono essere un tempo lungo. Rispetto ad altre indagini possono essere un tempo eccessivamente corto, quindi irragionevole”. Lupacchini sottolinea: “Se vogliamo lasciare tutto nelle mani della polizia giudiziaria possiamo anche decidere in cinque minuti. Se invece vogliamo valutare criticamente gli elementi raccolti dalla polizia giudiziaria, bisogna lasciare il tempo affinché quegli elementi siano valutati. Altrimenti lasciamo tutto in mano alla polizia giudiziaria o peggio ancora abroghiamo il diritto penale“. E aggiunge: “Tra politica e magistratura c’è un rapporto di sfiducia reciproca che porta necessariamente da un lato ad accentuare fino all’estremo le garanzie, dall’altro a pretendere l’abbassamento fino all’estremo delle garanzie stesse, con la conseguenza che si entra in un circolo vizioso da cui sarà impossibile uscire e ci rimette la giustizia”