Sarà il Parlamento a stabilire le regole sull’impegno dei magistrati in politica. “E mi auguro che si voglia intervenire al più presto”. Parola del ministro della Giustizia, Andrea Orlando (nella foto) che, riaffermando le prerogative del legislatore, è intervenuto a gamba tesa nella polemica riaffiorata in seno al Csm alle prese con l’approvazione dei nuovi criteri con cui verranno nominati d’ora in poi i vertici degli uffici giudiziari italiani. Il Testo Unico della dirigenza, che promette più meritocrazia e meno peso delle correnti nella valutazione dei curriculum, è stato approvato all’unanimità. Ma non è mancata una coda polemica velenosissima ancora una volta tra consiglieri laici e consiglieri togati.
“E’ stata persa un’occasione: avremmo potuto già oggi dare un segnale con l’approvazione di un emendamento simbolico ma significativo: far prevalere, quanto agli avanzamenti di carriera, i magistrati impegnati sul campo, rispetto ai candidati che abbiano ricoperto uffici politici”, dice Paola Balducci. Invece no. Questo e tutti gli altri emendamenti volti a disincentivare la pratica dello ‘sliding doors’ magistratura-politica sono stati bocciati. “Era la volta buona per iniziare a rompere la commistione tra il ruolo di chi giudica e chi amministra o governa, in modo da non dare adito a dubbi o sospetti sulla imparzialità e l’indipendenza della funzione giudiziaria”, dice ancora Balducci che ricorda come un intervento del Parlamento avrà comunque come punto di caduta l’articolo 51 della Costituzione in base al quale qualunque cittadino può accedere alle cariche politiche, e, dunque, anche i magistrati. “E allora chi meglio del Csm dovrebbe intervenire, specie sul tema del rientro dei magistrati da un incarico fuori ruolo? E che dire di quella norma che consente di svolgere contemporaneamente la funzione di magistrato e di amministratore locale purchè non nello stesso distretto giudiziario? In quel caso neppure sappiamo di quanti casi si tratti, dal momento che non esiste un obbligo di chiedere l’autorizzazione al Csm”.
E invece, con buona pace dei consiglieri laici, il segnale non è arrivato: a pesare la granitica maggioranza dei togati in plenum con la sola eccezione dell’ ‘eretico’ Aldo Morgigni che ha persino votato a favore dell’emendamento (poi bocciato) proposto dal laico di centrodestra Pierantonio Zanettin che prevedeva che i magistrati non potessero fare domanda per un incarico direttivo per almeno quattro anni dalla cessazione delle funzioni politiche. Ritirato, a fronte della promessa di affrontare la questione una volta e per tutte a settembre, l’emendamento presentato dai consiglieri laici Fanfani, Balducci, Balduzzi e Zaccaria volto a disciplinare il rientro in magistratura dei fuori ruolo destinabili, secondo la proposta poi ritirata, solo a funzioni giudicanti collegiali e in nessun caso a ruoli requirenti.
“Ben venga questo impegno a discutere della questione dopo la pausa estiva, ma faccio presente che una pratica è stata aperta al plenum ben nove mesi fa”, dice il consigliere Zaccaria approdato al Csm anche grazie ai voti del Movimento 5 Stelle. “La verità è che io vedo una resistenza dei togati su questo tema, un certo ‘conservatorismo’ interno allo stesso Csm: a parole sono tutti d’accordo a sciogliere la questione dell’impegno dei magistrati in politica, poi però quando si passa ai fatti tutto diventa più complicato: a novembre fui proprio io a sollevare il caso. Si trattava di autorizzare un magistrato in forze al tribunale di Palermo che era stato chiamato dal governatore Rosario Crocetta a fare l’assessore. Avevo proposto che ci fosse un periodo di transizione, uno stacco prima dell’incarico politico. L’incarico venne autorizzato con l’impegno, però, ad aprire una riflessione. Speriamo che a settembre si faccia davvero, vigileremo”.
di Emma Rosati