La guerra è finita. Ma non vi affrettate, non si tratta dei sanguinosi conflitti armati in Medio Oriente, ma di una vera e propria guerra che si ripete ogni anno, durante il mese di Ramadan, sulle tv arabe a suon di serie televisive e fiction.
Il mese sacro di Ramadan, infatti, con la messa in onda di palinsesti specifici, rappresenta l’alta stagione per il mercato televisivo arabo. Mussalsalat è il nome ormai noto delle serie tv prodotte appositamente per questo mese, che vengono trasmesse a rotazione e replicate in tutte le ore, per mantenere incollati i telespettatori agli schermi quotidianamente per almeno trenta puntate, l’intera durata di Ramadan. Questo genere televisivo raggiunge il picco di ascolti, durante il mese del digiuno islamico, perché in genere si lavora meno, si esce poco, i giovani trovano più tempo libero, e la famiglie si radunano più spesso.
Non ci sarebbe nessuna “guerra” se non ci fossero tanti, tantissimi Mussalsalat di ogni genere, dalla commedia al tema sociale passando per lo storico e il drammatico, che rincorrono gli ascolti e tentano di trovare visibilità e spazio sui canali tv arabi, con l’obbiettivo di appassionare con le loro storie avvincenti milioni di telespettatori.
Un confronto, quindi, non solo tra i canali tv e le case di produzione, che costringe il pubblico a dotarsi di schemi e agende per gestire le messe in onda e gli orari delle repliche, ma anche tra paesi di provenienza e i temi trattati.
Uno dei paesi che fino a quattro anni fa dominava il mercato dei Musalsalat era la Siria: la Hollywood della tv, produceva serie tv di altissima qualità, tecnicamente e artisticamente, con registi preparati, attori e attrici eccellenti, ma, sopratutto, con temi coraggiosi e all’avanguardia.
La produzione siriana che si era imposta negli anni, subisce una violenta battuta d’arresto con i venti di morte della cosiddetta Primavera araba, che spinge il paese in un vortice di terrorismo e sangue. La guerra mediatica si affianca agli attacchi terroristici, e i canali tv, la maggior parte di proprietà dei paesi del Golfo, ostili a Damasco, boicottano i Musalsalat siriani.
Malgrado la guerra in atto e il boicottaggio dichiarato dei fratelli arabi, i siriani decidono comunque di non arrendersi, arrivando a girare e produrre, sotto gli attentati e le bombe, più di 40 serie tv, per dire la loro, e far arrivare al mondo la propria voce. Un salto di qualità che riflette la natura dei siriani, coscienti e creativi, che non mollano facilmente di fronte al terrore e alla morte. Così i Musalsalat ritornano ad essere uno spazio di riflessione, discussione e dialogo socio politico (altro che talk show), che cattura tutta l’attenzione di un intero mondo.
In
Ghadan Naltaki (
Ci incontreremo domani, 2015) il regista
Rami Hanna riesce egregiamente a catturare l’essenza della tragedia siriana, attraverso il dramma, il dolore e la speranza di diversi personaggi in un centro di accoglienza di profughi in Libano. Warde (Rosa) impersonata dalla bravissima attrice Kariss Bashar, è una giovane profuga costretta a lavare i cadaveri per sopravvivere; divisa tra due fratelli spasimanti, appartenenti a posizioni politiche contrapposte, riesce alla fine, con i barconi, ad arrivare in Francia per iniziare una nuova vita. (
Sigla)
Bintizar Al Yasamin (
In attesa del Gelsomino, 2015) racconta il dramma degli sfollati, costretti a lasciare la propria casa e la propria vita, attraverso la storia della protagonista Lama (l’attrice Sulaf Fawakherji) che resta in strada dopo aver perso il marito uscito a comprare il pane senza fare più ritorno. Ora dove siamo? chiede uno dei protagonisti e il regista con il brano nostalgico “Salutami la Siria” conclude l’ultima scena della serie attraverso gli occhi dei suoi protagonisti. (
Scena finale)
“Basta basta ci siamo invecchiati!” Con queste parole Amal Arafe
autrice e protagonista di
Dounia (2015), si fa portavoce della gente che
cerca di sopravvivere alle difficoltà quotidiane, che vengono raccontate in chiave comica, attraverso
le avventure di Dounia, semplice donna di servizio, e della sua amica Turfa (l’attrice Shoukran Mourtaja). – Sei con Questi o con Quelli?- Continua Dounia scherzosamente a chiedere a tutti, affrontando temi delicati con leggerezza, ed esorcizzando il dolore con un sorriso. (
Sigla)
Anche Najdat Anzour, considerato uno dei registi siriani più influenti nello scenario televisivo arabo, e definito il padre dei Musalsalat, visionario e controverso, minacciato più volte di morte dai terroristi, non poteva mancare all’appello.
Imraa min ramad (
Una donna di cenere, 2015) è la storia di Jihad (Suzanne Najm Eddin) che perde il figlio in un attentato terroristico, introducendoci alle devastanti
conseguenze psicologiche della guerra sulla gente, sopratutto sulle madri e sulle famiglie macinate dal dolore e dalla sofferenza.
Ma già nella sua opera
Ma Malakat Aimanukom (
Ciò che la tua mano destra possiede, 2011) affronta attraverso le
storie di donne siriane, argomenti tabù e descrive il conflitto vissuto dai personaggi tra religione, valori sociali. Questa opera è stata
l’unica serie tv siriana andata in onda in Italia. Presentata nel 2012 da
Babel tv il canale di Sky, recentemente chiuso, nella sua programmazione speciale dedicata al Ramadan, ha riscosso grande successo e tanto interesse, sopratutto perché racconta come la
violenza individuale si trasforma in violenza sociale: una premonizione di quello che è accaduto dopo soli due anni in Siria. (
Sigla)
Quattro esempi, tutti al femminile, molto rappresentativi che riassumono quattro anni di guerra in trenta puntate. Per questo sarebbe il caso di allargare i nostri orizzonti oltre la produzione americana, guardare altrove, e dare spazio a voci alternative sui nostri schermi.
Sopratutto per capire cosa ne pensano i siriani stessi di quel che accade nel loro paese, al di la di ciò che ci raccontano i mass media, per capire una delle crisi più complicate del nostro secolo.