Ines Harrath, avvocato tunisino: "Oltre 7 mila arresti dal 2012 a oggi. Bastano la barba o vestiti ‘troppo musulmani’ per far scattare le manette". In cella i detenuti spesso finiscono per confessare e le pene vanno "dai 5 ai 12 anni per terrorismo e fino a 5 anni per propaganda. Se si è preso parte a un’azione in cui sono morte delle persone - come nel caso di Abdulmajid Touil, 22enne marocchino arrestato in Italia con l'accusa di aver preso parte alla strage del Bardo - c’è la possibilità della pena capitale"
“Arrestati, denudati, picchiati e torturati per strappare una confessione che, se non si è abbastanza forti, viene rilasciata anche se non corrisponde alla verità”. Ines Harrath, avvocato tunisino, non nasconde la rabbia quando ripensa alle storie dei propri clienti finiti in carcere con l’accusa di essere dei terroristi. Decine di persone che, però, rappresentano una minima parte degli “oltre 7 mila arresti” per terrorismo ordinati in Tunisia negli anni dopo la caduta del regime di Zine El Abidine Ben Ali, dal 2012 a oggi. Quando il reato sospettato è quello di terrorismo, la discussa legge 75 del 10 dicembre 2003, creata ai tempi della dittatura militare e oggi sostituita dalla più restrittiva legge anti terrorismo del 27 luglio 2015, sembra giustificare qualsiasi azione da parte delle forze di polizia: “Bastano il tuo aspetto – spiega Harrat a IlFattoQuotidiano.it -, la tua barba o i tuoi vestiti che ti identificano come ‘troppo musulmano’ per far scattare un arresto in piena notte”.
L’avvocato tunisino è uno dei personaggi che maggiormente si è esposto contro il pugno duro di Tunisi e alle leggi antiterrorismo in vigore. Tutti i suoi clienti sono accusati di far parte o di aver fatto propaganda in favore di qualche gruppo jihadista presente nel Paese. Se si entra sul suo profilo Facebook non si può non notare, in evidenza, la foto di Seifeddine Erraies, ex portavoce di Ansar al-Sharia in Tunisia e suo cliente: “Non ho problemi a parlare di Seif – dice – prima di essere un cliente è un amico”. Tra i suoi difesi, però, ci sono anche e soprattutto storie più controverse, come quella dell’ingegnere 25enne Zied Younes, anche lui finito in una cella tunisina con l’accusa d essere il membro di un movimento terroristico: “Una storia veramente brutta – racconta –, di cui si è interessata anche Amnesty International. Forse la storia più brutta con cui ho avuto a che fare. Zied è un ragazzo incredibilmente intelligente, detenuto nel centro delle Brigate Antiterrorismo (Bat) di Gorgeni. Dopo il suo arresto, è stato denudato, lasciato senza cibo, senza possibilità di dormire, schiaffeggiato, umiliato e colpito con strumenti di tortura. È ancora in carcere. La prova della sua colpevolezza? Il giudice sostiene che un video riguardante i combattimenti dei ribelli in Siria sia un elemento sufficiente a stabilire quale sia il suo credo”.
Se esiste un solo sospetto, anche un elemento di poca importanza che può, però, creare un collegamento tra la persona e l’estremismo islamico, sostiene Harrath, scatta l’arresto. Ad eseguirlo sono gli ufficiali delle Bat che, poi, “possono tenerti in stato di fermo per massimo sei giorni (diventati 15 con la nuova legge, ndr), prima che tu possa comparire davanti a un giudice. Già in quell’arco di tempo – dice l’avvocato – nel 99% dei casi il detenuto viene torturato per ottenere una confessione. È per questo che diffido sempre dalle confessioni degli imputati”. Una volta che il detenuto ha parlato, un giudice stabilirà una pena che va “dai 5 ai 12 anni per l’appartenenza a un movimento terroristico e fino a 5 anni si è fatto semplice attività di propaganda. Se viene dimostrato, però, che si è preso parte a un’azione in cui sono morte delle persone, come nel caso delle accuse nei confronti di Abdulmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato in Italia, c’è la possibilità della pena capitale”.
La gestione della lotta al terrorismo in Tunisia è un problema che va avanti ormai da anni, con i vari governi che, nonostante il pugno duro, non sono riusciti a impedire la formazione di zone, soprattutto a sud del Paese, al confine con la Libia, quasi totalmente in mano ai terroristi legati ad Al Qaeda e, ultimamente, dello Stato Islamico. “Il governo ha voluto diffondere l’idea che tutto l’Islam al di fuori dei canoni che loro definiscono ‘moderati’ sia sbagliato. Ha messo sullo stesso piano le correnti più radicali con i terroristi veri e propri, scegliendo la repressione e generando, così, sentimenti di vendetta. Anche per questo motivo i gruppi jihadisti sono potuti crescere”. Dopo l’attentato del 18 marzo al Museo del Bardo, poi, la situazione è ulteriormente peggiorata: “L’atteggiamento di Tunisi e delle forze di polizia si è radicalizzato. Le torture sono diventate più dure da sopportare, le condizioni delle carceri, con celle sporchissime e che contengono fino a 120 detenuti, sono peggiorate, si arresta con più facilità e lo si fa anche con bambini di 13 o 14 anni. L’altro giorno è stata arrestata una ragazzina di 16 anni per un post che aveva pubblicato su Twitter”.