Quando avevo quindici anni una sera in discoteca fui testimone di una violenza di gruppo che coinvolse anche un mio amico, uno con cui giocavo da quando ne avevo undici e faceva parte della mia comitiva. Una ragazza era accasciata su un divanetto, visibilmente ubriaca, un uomo si sedette accanto a lei e la baciò palpeggiandola in tutto il corpo. Quando si alzò, un altro si sedette accanto alla ragazza e le fece la stessa cosa. Mi accorsi che si era fatta la fila e tra quei ragazzi che compostamente attendevano il loro turno c’era Paolo, quel mio compagno di giochi.
Quella calma organizzata per commettere violenza nei confronti di una donna quasi priva di coscienza, fu un pugno nello stomaco. Non so che cosa significò per quella ragazza. Tentai di intervenire ma fui malamente cacciata mentre il mondo degli adulti intorno a me pareva ignorare la cosa. Il comportamento predatorio nei confronti dei corpi delle donne attraversa la sessualità di alcuni uomini e spero che di questo si ragioni prendendo spunto dalla sentenza di Firenze senza arenarci sulle contrapposizioni tra innocentisti e colpevolisti.
L’occasione potrebbe essere stasera a Fortezza da Basso quando donne e uomini parteciperanno alla manifestazione ‘La libertà è la nostra fortezza’, promossa da Unite in Firenze per contestare le motivazioni della Corte d’Appello di Firenze. Una protesta che si è diffusa sul web anche con la campagna #Nessuna Scusa, animata dall’indignazione per la condanna morale della donna che aveva denunciato lo stupro. Nelle parole dei giudici ci sono (eccome se ci sono!) considerazioni e riferimenti sulla sua vita privata insieme a passaggi pericolosi per la libertà di tutte le donne.
Come operatrice di un centro antiviolenza mi preoccupa che i giudici abbiano rafforzato la loro convinzione che non ci sia stata violenza perché la vittima non si era difesa. Ho subito una aggressione sessuale e ho provato sulla mia pelle che la paura del pericolo di più gravi conseguenze paralizza. La reazione non è nemmeno una scelta cosciente ma viene decisa autonomamente dal corpo che non reagisce, non si muove, la voce non esce e l’unico pensiero è che tutto finisca in fretta.
La letteratura scientifica spiega molto chiaramente quali sono le reazioni ad un trauma. Invece continuiamo a leggere sentenze che non ritengono credibili le vittime perché non si sono difese. Il fantasma della povera Maria Goretti frequenta ancora i tribunali, oggi come nel passato.
Ve la ricordate la sentenza del jeans? I giudici non ritennero possibile stuprare una donna che li indossasse e commentarono che non fosse verosimile che la vittima di un’aggressione preferisse essere stuprata piuttosto che subire altre conseguenze. Ma non si deve andare molto indietro nel tempo. A maggio il tribunale di Modena ha assolto tre ragazzi dall’imputazione di stupro nei confronti di una ragazza ubriaca perché “Se è vero che il comportamento passivo della vittima e il fatto che scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all’atto sessuale è altrettanto vero che l’assenza di azioni di respingimento e di invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la 16enne fosse consenziente”.
Mi domando se questa sia una tendenza nei tribunali italiani che sembrano concentrarsi, persino in situazioni dove la donna è ubriaca, sull’assenza di reazione piuttosto che capire come e quando si sia manifestato il consenso. Un altro aspetto criticabile di molte sentenze è il continuo riferimento alle contraddizioni nel racconto delle vittime. Eppure come spiega ancora la letteratura scientifica, il trauma della violenza impedisce una corretta memorizzazione degli eventi e quindi le contraddizioni o le nebulosità nelle ricostruzioni delle vittime non devono minare automaticamente la credibilità della vittima ma essere valutate con molta attenzione perché potrebbero invece convalidare la violenza. E a questo proposito vi invito a leggere le osservazioni di Alessandra Pauncz, presidente del Cam di Firenze, che sul blog Abbatto i Muri rovescia l’ottica della morale sessista e misogina con la quale è stata interpretata la ragazza di Firenze.
La ringraziamo per la bella e lucida riflessione.
Spero che i giudici di tutti i tribunali la leggano e riflettano sul fatto che la maggioranza delle violenze non vengono denunciate dalle donne anche perché buona parte di loro non ha fiducia nella giustizia. Abbiamo bisogno di tribunali competenti e coscienti dei pregiudizi sessisti o leggeremo ancora sentenze con queste criticabili motivazioni. A questo proposito Fabio Roia, magistrato del tribunale penale di Milano, profondo conoscitore del problema della violenza, ha scritto su La 27a ora: “continuiamo a dire ai convegni che per istruire e giudicare le violenze sulle donne occorrono magistrati specializzati, come ci impone sul piano normativo la Convenzione di Istanbul, e poi applichiamo categorie di valutazione della prova assolutamente generiche e non adattabili alle vittime di violenza”.
Eretica ci domandava in un suo post sul Fatto Quotidiano che cosa abbiamo imparato da questa storia. Forse ci troviamo davanti ad una situazione paradossale dove tutti dicono la verità. La dicono i ragazzi denunciati che non hanno avuto alcuna coscienza di cosa stava realmente provando quel corpo inerte che si scambiavano in un rituale macabro tra maschi. Eppure era un corpo inerte che avevano tra le mani e se non se ne sono accorti dovrebbero fermarsi a riflettere su loro stessi. E mi chiedo se a parte rivendicare legittimamente la sentenza che li ha ritenuti innocenti, siano mai stati attraversati dal dubbio.
La verità la dicono anche le parole della ragazza che ci ha detto che quella sera d’estate, aveva flirtato, ballato, bevuto ma non aveva alcuna intenzione di diventare un oggetto nelle mani di sei uomini che considerava amici e di cui si fidava.
Spero che siano in tanti stasera ad entrare nella Fortezza da Basso perché lei finalmente ne esca. Sono sette anni che è rinchiusa lì dentro, aiutiamola a uscire con un abbraccio.#Nessuna scusa