L'ex membro della Pfm insegna che la musica è un linguaggio universale, da tutti comprensibile. Una comunicazione che va al di là della parola, che parte da dentro. E alla Triennale di Milano si è appena conclusa l'installazione “Musica: Respiro Celeste”
Ha da poco lasciato la Pfm perché le cose da fare erano troppe. Ecco che Franco Mussida, storico componente della Premiata Forneria Marconi, ha deciso di dedicare il suo tempo ai detenuti di quattro carceri italiane. Attraverso il progetto CO2 insegna che la musica è un linguaggio universale, da tutti comprensibile. Una comunicazione che va al di là della parola, che parte da dentro. Ma a tenere impegnato Mussida, sono anche le mostre esperienziali: è appena terminata alla Triennale di Milano “Musica: Respiro Celeste” e in programma per settembre c’è la nuova installazione “Suono di Sole”. Questa volta al centro dell’opera non saranno più altoparlanti, ma dipinti vibranti.
Franco Mussida, cos’è il Progetto CO2?
Si tratta di audioteche create per i detenuti all’interno di quattro carceri italiane. Ogni brano è inserito da un musicista ed è classificato secondo stati d’animo.
Cosa vuol dire CO2?
Controllare l’odio.
Come è nato il progetto?
Nasce nel 1987 grazie al pensiero di una persona ispirata, il professor Garavaglia, responsabile del gruppo di psicoterapia all’interno del carcere di San Vittore.
Secondo lei cosa manca nelle carceri italiane per la rieducazione dei detenuti?
Manca un minimo comun denominatore che permetta ai detenuti di leggere il proprio intimo.
Per questo lei ha pensato alla musica e in particolar modo alle audioteche?
Esatto. Nelle audioteche abbiamo raccolto solo musica strumentale, niente parole. Ogni canzone deve poter arrivare a tutti, stranieri e non. Le playlist sono organizzate per stati d’animo permanenti. I detenuti, ascoltando i suoni, si rapportano con loro stessi, con il loro intimo. È un’attività consapevole. Ascoltano musica così come si deve ascoltare.
Cosa serve per ascoltare musica?
Il tempo… Il tempo che dedichi alla musica lo dedichi a te stesso. È inutile andare dall’erborista per stare bene. Concediti piuttosto 10 minuti per ascoltare musica, perché i musicisti ti danno pappa reale. Non c’è altro modo di assimilarla, se non donandole tempo.
La musica quindi è educativa?
Assolutmente sì. Può aiutare molto. Io ne ho esperienza diretta con le mie mostre esperienzali. L’ultima è stata “Musica Respiro Celeste”, presente alla Triennale di Milano fino a pochi giorni fa. E per coloro che non possono vedere le mie istallazioni ho pensato al Progetto CO2.
Qual è il suo prossimo obiettivo con CO2?
Portare questa realtà in altre carceri. A Monza e a Opera si è già passati dalla fase di sperimentazione alla utilizzazione nelle biblioteche. Il mio grande obiettivo sarebbe poi dotare gli istituti penitenziari italiani di spazi di ascolto. Mettere le audioteche al servizio di giudici e avvocati, perché anche loro, come gli agenti di custodia, fanno parte di un sistema.
Ascoltando musica i detenuti lasciano traccia sui tablet del loro stato d’animo?
Sì. Noi sappiamo quanto rimangono collegati, cosa ascoltano e per quanto tempo. Leggendo questi dati capiamo molto. Come diceva Jung, l’inconscio è un elemento collettivo e a maggior ragione la musica dimostra che la nostra interiorità poggia su una struttura emozionale comune, a prescindere dalle esperienze di ognuno. Se i neri d’America non avessero avuto la musica e se non si fossero organizzati a cantare, quanto ci avrebbero messo i bianchi ad accettarli?
Mussida, lei lavora da solo al Progetto Co2?
No, il progetto nasce all’interno della mia scuola, il Cmp Music Institute. Il progetto è mio e dei miei ragazzi. Poi ora vorrei creare un gruppo di sostenitori. Io non sono un santone. Non mi taglio la zazzera semplicemente perché ci sono affezionato. (ride, ndr.)
Quali artisti le piacerebbe coinvolgere nel progetto?
Mi piacerebbe contattare persone che hanno cercato meno consensi e hanno fatto più ricerca. Due nomi che mi vengono in mente sono Vinicio Capossela e Andrea Bocelli, nessuno più di lui credo abbia consapevolezza di quanto la musica possa aiutare.
Lei passa molto del suo tempo nella sua scuola, il Cpm Music Institute. Che effetto le fa essere un esempio per i ragazzi?
Una premessa: il compito delle persone di una certa età è mettere a frutto le esperienza maturate negli anni, ma senza la genialità dei ragazzi gli adulti fanno fatica ad esprimersi. Quindi questo è un luogo di sperimentazione, in cui uno arriva con un’idea della musica e ha la possibilità di realizzarla. Sia io, sia i miei ragazzi. La musica è una meravigliosa e straordinaria forma di comunicazione che va al di là dei contenuti. Qualsiasi opera ben fatta, artisticamente valida, è di fatto un agglomerato di pensieri e sentimenti. Tutta la musica prodotta è sapienza organizzata da uomini che fanno un lavoro per gli ascoltatori.