di Nicoletta Lazzarini* e Adele Caridi*
In questi giorni di caldissima estate proviamo a trattare un tema altrettanto rovente e forse poco considerato dai più: anche i dirigenti soffrono la crisi e, almeno a partire dal gennaio di quest’anno, si è assistito a un drastico peggioramento delle tutele che la contrattazione collettiva riserva a questa categoria di lavoratori, sebbene per ora principalmente nel settore industriale. E ciò in coda a un trend occupazionale dei Professional decisamente negativo, con Aldai e Istat che tratteggiano un calo preoccupante:
– dal 2010 al 2013 una contrazione del 48% per dirigenti e quadri;
– dal 2008 al 2013 le restanti alte professionalità si riducono del 10%.
Ben prima dell’entrata in vigore del Jobs Act una diversa rivoluzione è infatti passata sotto traccia, riducendo, questa volta per mano delle parti sociali e non di una legge, il numero di “mesi preavviso” e le mensilità di indennità supplementare dovute in caso di licenziamento ingiustificato. Non solo. È stata cancellata, per i recessi intimati dopo il 1° gennaio 2015, l’unica forma di welfare che il nostro sistema prevedeva: una misura di sostegno al reddito (Sgr/Fasi) che garantiva a tutti i licenziati, per 8 o 18 mesi, in funzione dell’età, un importo mensile di circa 2.000 euro.
L’effetto di questi meccanismi insieme è stato perciò di ancorare il trattamento economico da garantire in fase di uscita all’anzianità aziendale, in modo simile a quanto poi avvenuto con il Contratto a Tutele Crescenti (l’antesignano della famigerata tabellina del 2 poi adottata da Renzi).
Ma per chi sia licenziato in modo ingiustificato come si è tradotto il passaggio dalle precedenti previsioni alle attuali? Vediamolo:
Certo, se questi importi, pur drasticamente ridotti, sono dovuti, spetta poi al dirigente un’indennità supplementare. Ma pure qui vengono eliminate le maggiorazioni che il precedente contratto collettivo vedeva connesse all’età anagrafica e i lavoratori risultano così ulteriormente penalizzati:
Cattive notizie, quindi, cui si aggiunge infine il fatto che la disciplina del rapporto di lavoro oggi applicabile ai dirigenti Industria annulla la previgente distinzione tra donne e uomini: nessun indennizzo spetta a entrambi se hanno compiuto 67 anni (come se a questa età si potesse già accedere al pensionamento…).
Insomma, stiamo parlando di un’intesa maturata in seguito a un periodo di crisi congiunturale (il Ccnl scadrà nel dicembre 2018) e avvenuta con un sacrificio notevole di una sola parte del rapporto di lavoro, sempre la stessa.
Ci viene in mente allora un simpatico cinquantaquattrenne rivoltosi al nostro studio subito dopo Natale: l’azienda aveva maturato la decisione di licenziarlo da mesi, prima modificando l’area delle sue responsabilità, senza (ovviamente) che ciò impattasse sulla sua retribuzione. Lui non aveva dato peso alla modifica: da uomo d’azienda aveva proseguito a stipulare contratti, a far entrare nuovi clienti, ad accettare sfide all’estero. Peccato che l’azienda avesse invece già fatto i suoi conti in novembre; meglio, aveva fatto i conti nella tasca del dirigente, pesando le migliaia di euro che lo stesso avrebbe avuto con accesso all’Sgr/Fasi e sapendo che con il preavviso e la minima della supplementare il nostro si sarebbe accontentato. Doveva, del resto, ricollocarsi e, si sa, a certi livelli non piace litigare davanti ai giudici.
Così, quando il licenziamento arriva a gennaio e i legali avviano la trattativa, il danno è fatto: ridotto il preavviso, nessuna disoccupazione (quasi 30 mila euro Sgr/Fasi), tagliata la “forchetta” dell’indennità supplementare. E la difficoltà di far comprendere a una brava persona che le parti sociali (ovvero le associazioni sindacali che tutelavano anche i suoi interessi) sono in parte responsabili di un quasi dimezzamento del valore dell’uscita. Difficilissimo evitare il processo.
Non un caso isolato, e anzi, quest’anno abbiamo assistito a licenziamenti anche peggiori e inattesi.
Come quello di un dirigente di poco più di quarant’anni, sempre col massimo del bonus su obiettivi, che aspettava la prima figlia. Una vita stravolta in cinque minuti: la lettera sul tavolo, tre persone di fronte a sé (per prevenire i casi dei meno coraggiosi che non firmano alcunché, neppure “per ricevuta”), privato dell’account aziendale, del telefono e dell’auto, l’unica auto di famiglia. Un tratto caratteriale: non era uno yes man; era solo un ottimo manager.
Ecco il dramma di queste professionalità, che escono dal mercato del lavoro senza poter quasi mai invocare il diritto alla reintegrazione (che rimane, invero, per i casi di discriminazione o di nullità) e avendo costruito le proprie aspettative di vita sul ruolo ricoperto e sullo stipendio in essere. Magari dopo aver stipulato un mutuo per una casa di rappresentanza, dopo aver pensato che sarebbe stato insensato licenziare chi lavora bene e riceve continue gratificazioni. Senza aver considerato che ricollocarsi ai medesimi livelli di prima sarà quasi impossibile.
Migliaia di questi lavoratori hanno perso il posto di lavoro nei mesi passati, parecchi non si sono ricollocati, altrettanti hanno preferito evitare la strada del tribunale. Molti hanno lasciato l’Italia, moltissimi necessitano di sostegno piscologico. Tutti hanno compreso che una “buona uscita” finisce e poi bisogna reinventarsi.
I migliori di loro – piccola consolazione che non vogliamo nascondervi – sono diventati imprenditori e datori di lavoro più capaci di coloro che li hanno licenziati.
* Avv. Nicoletta Lazzarini – Profondamente convinta che il lavoro sia strumento di espressione della persona, oltre che di progresso e benessere collettivo, dedico il mio impegno professionale alla tutela di chi rischia di perdere o ha perduto la propria occupazione, di chi ha subito infortuni o riportato patologie professionali, di chi necessita di consulenza nella fase di avvio di un nuovo rapporto di lavoro o nella gestione delle criticità quotidiane. Sono di origine triestina, ma vivo a Milano e dal 2007 sono socia dello studio Legalilavoro
* Avv. Adele Caridi – Giuslavorista. Ho maturato accanto a un Giudice la prima esperienza formativa e ho scelto di specializzarmi in diritto del lavoro. Affronto quotidianamente e con passione i problemi che caratterizzano tutte le tipologie dei rapporti di lavoro, con l’obiettivo di risolverli e contribuire alla serenità dei lavoratori che assisto. Originaria di Reggio Calabria, vivo a Milano ed esercito come avvocato in Legalilavoro