Depositate le tremila pagine di motivazione della sentenza di condanna all'ergastolo per Vincenzo Virga e Vito Mazzarra, mandante ed esecutore dell'omicidio del sociologo e giornalista. "La torsione nelle finalità istituzionali degli apparati di intelligence che si consuma proprio in quegli anni crea un terreno propizio all’instaurazione di sordidi legami tra alcuni esponenti dei Servizi e ambienti della criminalità organizzata"
Di sicuro c’è solo che ad ammazzarlo fu la mano di Cosa nostra. Sullo sfondo, invece, rimangono ancora troppi i moventi, all’interno di un contesto difficilissimo da ricostruire tra depistaggi, interessi incrociati, relazioni pericolose e prove scomparse. Ventisette anni dopo, occorrono più di tremila pagine per spiegare chi e perché uccise Mauro Rostagno, sociologo e giornalista, militante arancione e leader di Lotta continua, fondatore della comunità terapeutica Saman e testimone della svolta nera di Cosa nostra a Trapani, tra logge massoniche e attività coperte dei servizi d’intelligence.
Si era trasferito in Sicilia già da alcuni anni Rostagno, quando il 26 settembre del 1988, viene freddato a colpi di fucile in contrada Lenzi, a pochi passi dalla comunità che aveva creato insieme a Ciccio Cardella, conosciuto in India negli anni ’70, poi coinvolto in uno dei tanti rivoli investigativi sul mai del tutto risolto omicidio del sociologo torinese.
Quasi trent’anni dopo, però, la corte d’assise del comune trapanese ha trovato autori e mandanti di quel delitto: sono, nell’ordine, il killer Vito Mazzara e il boss di Cosa nostra Vincenzo Virga, condannati all’ergastolo il 16 maggio del 2014. Ci sono voluti altri quattordici mesi perché il giudice Angelo Pellino depositasse le tremila pagine con le quali motiva quelle condanne.
Tra mafia e 007
Un documento storico – giudiziario importante quello di Pellino, perché ricostruisce il contesto trapanese degli anni ’80, all’interno del quale matura l’omicidio Rostagno. “La torsione nelle finalità istituzionali degli apparati di intelligence che si consuma proprio in quegli anni e che ha a Trapani, con la costituzione dell’ultimo Cas nella storia di Gladio, un suo epicentro, crea un terreno propizio all’instaurazione di sordidi legami tra alcuni esponenti dei Servizi e ambienti della criminalità organizzata locale”, scrive il presidente della corte d’assise nelle motivazioni della sentenza. La Trapani degli anni ’80, infatti, è una città borderline, cerniera di rapporti tra 007 coperti, massoni, boss di Cosa nostra, all’ombra dell’ultimo centro d’addestramento di Gladio, la struttura paramilitare segreta nata come costola di Stay Behind, che stabilisce nella città delle saline una delle cinque basi coperte della VII divisione del Sismi: la stessa che nascondeva gli Ossi, gli operatori speciali Stato Italiano, che per l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, erano legati alla Falange Armata.
“Ne scaturisce – continua Pellino – una rete di relazioni pericolose, fatte di intese e scambi di favori reciproci e protezioni. Un’organizzazione criminale che detiene un controllo capillare del territorio può essere fonte della merce più preziosa per un apparato di intelligence, le informazioni; ma può servire anche per operazioni coperte, ovvero per offrire copertura a traffici indicibili da tenere al riparo da sguardi indiscreti. Traffici che coinvolgono pezzi di apparati militari e di sicurezza dello Stato, all’insaputa dei vertici militari e istituzionali o dei responsabili politici”. Ed è in questo contesto che Rostagno comincia a fare il giornalista a Trapani, seguendo per primoil processo per l’omicidio Vito Lipari, sindaco della Castelvetrano dei Messina Denaro, e avviando una serie d’inchieste sul territorio “Su questo versante – continua la motivazione della sentenza – Rostagno poteva essere una minaccia, dopo che aveva scoperto gli strani traffici che avvenivano a ridosso della pista di un vecchio aeroporto militare ufficialmente in disuso alle porte di Trapani”.
Il circolo Scontrino, le logge massoniche e i politici
Tra i lavori svolti dal reporter Rostagno, una nota a parte meritano per i giudici le “autonome inchieste inchieste giornalistiche che miravano a varcare la soglia di autentici santuari del potere locale come era all’epoca la rete di circuiti massonici che faceva capo al Centro studi Antonio Scontrino a Trapani“. È un centro importante quello di via Carreca, un posto dove non vanno in onda solo aperitivi e iniziative culturali: è l’11 aprile del 1986, due anni prima dell’omicidio Rostagno, quando la polizia fa irruzione e scopre che Scontrino è il paravento di sei logge massoniche, Iside, Iside 2, Osiride, Ciullo d’Alcamo, Hiram e Cafiero. Dopo che venne alla luce l’esistenza delle logge, Paolo Scontrino, si giustifica parlando delle conferenze pubbliche organizzate dal circolo : “Ricordo che in qualche riunione, anzi in una riunione fu presente l’Onorevole Sergio Mattarella, un’altra volta il Sindaco di Trapani, ma anche alcuni lama tibetani e fra gli altri che ricordo, tale padre Antonj, di religione indù, la signora Dacia Maraini, il capo della comunità israelitica di Roma padre Toaf, padre Evloghi, della Chiesa ortodossa ed altri”.
Ad interrogare Scontrino il 28 ottobre del 1986 fu il maresciallo dei carabinieri Beniamino Cannas, uno dei testi per i quali la Corte d’Assise ha chiesto oggi la trasmissione degli atti in procura. Il presidente della Repubblica Mattarella, che all’epoca dei fatti era un deputato della Dc, oggi invece smentisce di essere stato un “frequentatore” delle iniziative del circolo Scontrino. “La sola volta in cui è venuto a conoscenza dell’esistenza di questo circolo – fanno sapere dal Quirinale – è stata, nei primi anni Ottanta, in occasione della conferenza, sulla giustizia tributaria, di un suo collega, che Mattarella è andato ad ascoltare apprendendo in quella sede che la conferenza era promossa da un circolo denominato Scontrino a lui del tutto sconosciuto e con il quale non ha mai avuto, né prima né dopo, alcuna relazione o contatto di qualsivoglia genere”.
Dal proiettile alla videocassetta: i pezzi mancanti
Il paravento del circolo Scontrino è comunque crocevia d’interessi e rapporti ad alto rischio. E per questo motivo che i giudici sottolineano come i “sordidi legami” tra pezzi della massoneria e agenti dei servizi “per quanto non direttamente afferenti al movente del delitto, abbiano avuto l’effetto di incoraggiare i vertici dell’organizzazione mafiosa ad agire, nella ragionevole convinzione di poter contare, una volta commesso il delitto, su una rete di protezioni e connivenze pronta a scattare in caso di necessità: come alcune sconcertanti emergenze di questo processo fanno paventare sia accaduto”. Come dire che la mano che ha sparato a Rostagno è targata Cosa nostra, ma per proteggerla si sono mossi poteri differenti da quelli mafiosi. È per questo motivo che oggi rimangono ancora parecchi i buchi neri irrisolti. A cominciare dai pezzi mancanti dell’indagine: le lettere che Rostagno si scambiava con il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, la videocassetta in cui il giornalista aveva registrato le riprese del presunto traffico d’armi scoperto nei pressi della pista d’atterraggio di Kinisia, il memoriale sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi, fino alla partizione del proiettile calibro 38 estratto dal corpo del sociologo durante l’autopsia. Poi c’è la relazione elaborata dagli 007 del centro Scorpione su Saman: svanita nel nulla come tutti gli altri pezzi di puzzle.
Tante piste, ma è un omicidio firmato da Cosa nostra
Nonostante le numerosi tesi investigative, la presenza intorno alla matrice del delitto di personaggi che anche durante il processo sono rimasti sullo sfondo, per Pellino l’unica pista provata sull’omicidio Rostagno è quella mafiosa. “L’indagine sul movente dell’omicidio che ha impegnato larga parte dell’istruzione dibattimentale – spiega il giudice – ha consentito di misurare tutta l’inconsistenza delle piste alternative a quella mafiosa, che pure sono state esplorate, senza preconcetti. Di contro, a partire proprio da una ricognizione dei contenuti salienti del lavoro giornalistico della vittima, di talune sue inchieste in particolare, ma del suo stesso modo di concepire e soprattutto di praticare il giornalismo e l’informazione come terreno di elezione di una ritrovata passione per l’impegno civile, è emerso come Cosa Nostra avesse più di un motivo, e uno più valido dell’altro, dal suo punto di vista, per volere la morte di Rostagno. E il bisogno di mettere a tacere per sempre quella voce che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari (illeciti) e le trame collusive delle cosche mafiose”.
Nella città dei misteri, dove 007 si danno appuntamento con mafiosi e massoni, Rostagno inizia a dare fastidio, inizia ad essere una “camurria” per i boss di Cosa nostra. “Il suo sforzo – continua Pellino – di ridisegnare la mappa degli organigrammi del potere mafioso e di individuare le figure emergenti che potevano avere preso il posto degli esponenti della vecchia guardia di Cosa Nostra, decimati da arresti ma ancora di più dai colpi messi a segno dalle cosche antagoniste che nuovo slancio traevano dalla loro capacità di inserirsi nella gestione del narcotraffico o in altre redditizie attività”. È per questo motivo che alla fine, Pellino spiega come “le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dopo una doverosa scrematura di quelli meno affidabili, convergono su una duplice indicazione: l’omicidio fu deciso dai vertici di Cosa Nostra trapanese o comunque con il loro assenso e dopo che fu vanamente esperito il tentativo di indurre il giornalista a più miti consigli con pressioni e minacce per interposta persona”. Sul terreno oltre al cadavere del giornalista, rimane un processo che dopo 27 anni è arrivato solo al primo grado di giudizio, due colpevoli condannati e gli artefici di insabbiamenti in serie mai individuati.