Per i giudici romani è il "terminale" degli interessi delle organizzazioni criminali del litorale e ha guidato un'associazione a delinquere che ha fatto fallire la società che gestiva lo scalo. Suo zio Vittorio ha fatto fortuna con i diritti tv, a partire da quelli di Dallas. Venduti a Silvio Berlusconi che era a caccia di programmi per la nascente Canale5
Mauro Balini non era solo il ras del Porto di Ostia. Per i giudici romani sul litorale romano aveva un ruolo preciso, che lo colloca direttamente nel “mondo di sopra”: era “il gestore delle attività economiche e finanziarie facenti capo ad una delle strutture criminali insediate nel territorio di Ostia”. In altre parole, “il terminale apparentemente legale” degli interessi criminali. Il senso più profondo dell’inchiesta che ha colpito Balini è racchiuso in questo passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Grazia Giammarinaro, che ha disposto anche il sequestro di beni per oltre 400 milioni.
Un nome, quello di Balini, che da tempo aleggiava sul litorale come il livello superiore, solo sfiorato dall’indagini “Anco Marzio” (primi anni 2000) e “Nuova Alba”, il primo tifone che ha colpito Ostia anticipando di qualche mese Mafia Capitale. Le accuse che lo hanno raggiunto oggi sono pesanti: associazione per delinquere finalizzata alla spoliazione della società Ati. Un acronimo che sta per “Attività turistiche imprenditoriali”, ma che a Ostia vuol dire il grande business del porto turistico, l’ancoraggio sicuro per yacht e piccoli velieri. Insieme a lui sono stati arrestati Massimo Amicucci, amministratore unico del Porto di Roma, Edoardo Sodano amministratore unico della Porto di Roma immobiliare e Sergio Capograssi, socio “fiduciante” della Brick Real Estate, uno dei tanti gruppi riconducibili a Balini. Per altre nove indagati il Gip ha respinto la richiesta di arresto, ritenendo che non sussistesse il principio dell’attualità del reato contestato, come prevede la nuova norma introdotta dal governo Renzi.
Dietro quegli inizi ormai mitici c’era una sigla ben nota tra i cinematografari romani. E un nome che ritorna dopo tanti anni. La Pat, società aperta e gestita dallo studio tributario Muci di via Settembrini, nel cuore di Roma: uno dei partner, Arturo Muci, è indicato oggi dalla Procura di Roma come uomo del gruppo di Mauro Balini, amministratore di molte sue società, accusato di associazione per delinquere. Una partnership che dura nel tempo. Il nome di Arturo Muci era già emerso – senza essere indagato – durante le indagini sulla casa di Sabina Beganović, in arte Began, l’attrice tedesca che ha ricevuto un milione e mezzo di euro da Berlusconi tra il 2011 e il 2012, a ridosso dei passaggi chiave dell’inchiesta sulle ragazze mandate ad allietare le cene eleganti di villa San Martino. Inchiesta nata da una segnalazione di operazioni sospette partita dalla Banca d’Italia, che riguardano una società gestita per un periodo dal commercialista romano.
Il tesoro finito oggi nelle mani della Guardia di Finanza mostra senza ombre di dubbio il volto del potere di Ostia. Quattrocento milioni di beni sequestrati, una potenza di fuoco economico in grado di influenzare tutto e tutti. Mauro Balini qualche mese fa – dopo gli arresti della seconda parte dell’inchiesta Mafia Capitale, che avevano colpito anche Ostia – su Facebook aveva scritto che era giunto il momento di mettersi in proprio, anche sulla politica. Magari con un partito gestito direttamente, in pieno stile berlusconiano. Se il futuro era incerto, per il passato i referenti politici non mancavano. Come il consigliere capitolino del Pd Francesco D’Ausilio, che lo scorso giugno si è autosospeso dal partito. La corrispondenza via email tra Balini e il politico dem era copiosa e occupa diverse pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, anche se D’Ausilio non risulta indagato. Oggetto: il porto di Ostia e il fiume di denaro che girava attorno al business del momento. A disturbare Mauro Balini erano soprattutto giornalisti e comitati. Un campo che richiedeva l’intervento della politica.