Il sequestro del porto turistico di Ostia, per un ammontare di beni pari a oltre quattrocento milioni di euro, segna una nuova disfatta. È presto per conoscere nel dettaglio gli atti dell’inchiesta, ma alcune considerazioni possono farsi fin d’ora.
La prima è l’ennesima presa d’atto di quanto sia pronunciato il sistema della corruzione finanziaria in Italia, un meccanismo collaudato fatto di affaristi spregiudicati e di una pletora di funzionari-maggiordomo che obbediscono alla banalità del male.
L’altra considerazione, non meno amara, riguarda invece il patrimonio costiero italiano, andato in malora per la realizzazione di approdi, possibilmente esclusivi, destinati ad una nautica ondivaga e arruffona, dentro la quale è sempre più difficile distinguere ed esaltare il valore della nostra cantieristica migliore, che pure resiste a fatica.
I nostri porti turistici si sono moltiplicati senza alcun disegno razionale e, cresciuti come satelliti rispetto ai territori e al contesto sociale, sono spesso l’inutile distintivo “marittimo” ambìto da improbabili amministratori costieri. Intorno a tali status symbol (rimasti spesso malinconicamente vuoti) quasi mai sono cresciute competenze, né si è sviluppata la cultura del mare che da ogni porto naturalmente promana.
Mentre sulle banchine vengono esibiti l’ultima tecnologia nautica e il più recente capo firmato, sugli approdi continuano ad accanirsi speculazioni finanziarie come quella ora scoperta a Roma dalla Guardia di Finanza.
I pirati di questo saccheggio della fascia costiera, questa volta, sono venuti da terra. Lo confermano le analisi dell’Ispra, secondo cui oltre quasi il 20% del litorale italiano – l’equivalente dell’intera costa sarda, è ormai irrimediabilmente devastato dal cemento.
Svanisce, nel frattempo, la nostra cultura marinara: il numero delle scuole nautiche è ormai di 45 istituti in tutta Italia (soltanto quattro in Liguria, due nel Friuli, nessuno in Emilia Romagna).
Le responsabilità di tutto questo non vanno ricercate soltanto nelle fameliche imprese di costruttori e finanzieri senza scrupoli, ma anche nell’ottimismo di gomma di molti amministratori che hanno giocato d’azzardo il territorio come cosa propria, all’inseguimento di obiettivi certo molto lontani dal buon futuro delle nostre coste e dalla cultura del mare.