Tanti giudici e pm reclutati come candidati, ministri o assessori. Magari solo per allontanare sospetti o rassicurare sul livello di trasparenza delle amministrazioni pubbliche investite dagli scandali. L'esponente del Consiglio superiore all'attacco: "Una situazione che può offuscare l’immagine di imparzialità e di indipendenza della magistratura". A settembre una proposta di delibera sul tema all'esame del Plenum
Entro il 20 settembre sarà portata al plenum del Csm una proposta di delibera sul rapporto tra magistratura e politica. E’ l’impegno del presidente della sesta commissione del Consiglio superiore della magistratura, Piergiorgio Morosini reduce da una dura polemica in seno al plenum animata da alcuni membri laici che puntavano a inserire già nel Testo unico sulla dirigenza appena varato dal Consiglio, alcuni ‘paletti‘ per i magistrati che scelgano l’impegno politico o che tornino in ruolo dopo la fine di incarichi di questo tipo. Le proposte non sono passate per il voto quasi unanime dei consiglieri togati: “In alcuni casi – dice Morosini – erano previsioni persino contrarie alla legge, in altri misure del tutto inutili”.
“Il rapporto magistratura-politica è un tema centrale per la credibilità dell’ordine giudiziario. Una situazione in predicato di offuscare l’immagine di imparzialità e di indipendenza”, dice Morosini che non nasconde un certo imbarazzo quando gli si fa notare che c’è chi, da magistrato seppure in aspettativa, assume l’incarico di segretario o presidente di un partito seppure a livello regionale. “Vorrei ricordare innanzitutto che la legge ci impedisce di prendere tessere di partito. Quanto all’impegno dei magistrati in politica, vorrei dire che affrontare questo tema è una priorità assoluta soprattutto per la componente togata del Csm, anche se il problema mi pare soprattutto della politica: Diciamolo: oggi i gruppi politici in crisi di autorevolezza cercano magistrati noti e meno noti per lanciare segnali rassicuranti a comunità segnate dalla cronache degli scandali legati alle varie forme di illegalità. Operazione a volte di pura immagine che però ha un enorme impatto sull’opinione pubblica nel momento in cui il controllo di legalità si rivolge ripetutamente alle funzioni politico-amministrative”.
Insomma i magistrati reclutati come candidati, ministri o assessori rischiano di essere (o di apparire) una cartina di tornasole utile ad allontanare sospetti o a rassicurare sul livello di trasparenza del sistema politico-istituzionale a cui vengono chiamati a partecipare. “Penso francamente che si debba aprire una riflessione sulla reversibilità o meno della scelta per i magistrati di entrare in politica. Personalmente non ho dubbi: per me, chi ha fatto politica specie per periodi lunghi, 10 o 15 anni non dovrebbe poter tornare a fare il magistrato”. Ma la decisione non sembra così semplice: per imporre regole come questa c’è bisogno di un intervento del legislatore: se si vuole proibire tout court ai magistrati di candidarsi addirittura servirebbe una riforma costituzionale per modificare l’articolo 51 della Carta.
“Il Csm ha già fissato per suo conto alcuni paletti: chi svolge un mandato politico in una regione quando rientra in ruolo deve spostarsi in una regione diversa e certamente non viene premiato con incarichi direttivi”. Tutto qui? “No, avevamo anche fatto una norma che impediva a chi rientrasse di svolgere le funzioni del pm, ma è stata impallinata dal Tar. Peraltro, secondo la Corte Costituzionale certi ostacoli al rientro dei magistrati sono considerati un ingiusto condizionamento alla libertà fondamentale di partecipazione alla vita politica del Paese”. Insomma, a settembre arriveranno indicazioni molto chiare dal Csm. Ma poi le scelte dovrà farle il legislatore. “Proporremo di cancellare quella norma sulla contemporaneità delle funzioni giudiziarie con quelle di natura politica che è consentita purchè non si svolgano nello stesso distretto; ma poi pensiamo anche ad altri strumenti che impediscano per esempio l’immediata candidabilità del magistrato magari con la previsione di un periodo di transizione prima dell’assunzione dell’incarico politico”.
Ma il Csm, a parte formulare proposte rimesse alla volontà del legislatore, che può fare? E ancora. Non si potevano approvare gli emendamenti dei laici per cominciare almeno a dare un segnale? “Quelle proposte di modifica – ribadisce Morosini – non c’entravano nulla col provvedimento che abbiamo approvato; né sarebbero servite a nulla. Piuttosto ieri è stato inflitto un altro colpo alla cosiddetta magistratura d’elite, quella abituata agli incarichi prestigiosi affidati senza alcun criterio obiettivo e per mera cooptazione politica. Quel mondo è minoritario ma ancora molto potente. Da ieri per la verità un po’ meno”.
di Emma Rosati