Copiare durante un concorso pubblico è reato, si sa. E costa caro: 11mila euro, in alternativa al carcere. Tanto rischia di pagare ognuno dei 103 salentini aspiranti avvocato, che durante la sessione d’esame del dicembre 2012 hanno consegnato come elaborato un copia e incolla così pedissequo che non accorgersene sarebbe stato impossibile.
Dopo l’annullamento della prova, per loro arrivano anche i guai giudiziari. È contestato il reato di falsa attribuzione di un lavoro altrui. Per questo il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, in mattinata, ha inoltrato al gip la richiesta di un decreto penale di condanna: sanzione pecuniaria al posto dell’applicazione della pena detentiva, che per delitti di questo tipo oscilla da tre mesi a un anno e, nel caso in cui l’intento sia conseguito, non può essere inferiore a sei mesi. A stabilirlo è una vecchia legge d’epoca fascista, la n. 475 del 1925.
Ad accorgersi delle evidenti copiature è stata la Corte d’Appello di Catania, incaricata della correzione delle verifiche dei candidati del distretto di Lecce, che comprende anche Brindisi e Taranto. A presentarsi in quella sessione sono stati oltre un migliaio. Per il dieci per cento di loro, esame stralciato: troppi sospetti di aver utilizzato testi non propri. È da quella segnalazione giunta dalla Sicilia che le indagini hanno preso il via, nel settembre 2013, delegate ai compartimenti di Polizia postale di Bari e Lecce.
È stato come raggomitolare la matassa: partendo dai numeri di cellulare e dagli indirizzi mail segnati sui moduli di iscrizione si è risaliti al traffico dati. Grazie, poi, all’utilizzo di un software, sono stati incrociati i tabulati delle utenze e gli orari di svolgimento delle prove. È così che è stato scoperchiato il vaso di Pandora: mail inviate e ricevute da studi legali, accessi a siti internet specializzati in diritto, parti di dispense inoltrate tramite sms, foto dei compiti scambiate via Whatsapp.
Nessuno sforzo di rielaborazione, nessuna modifica nei due testi di diritto civile e penale e nell’atto che bisognava redigere: i dubbi iniziali si sono trasformati in certezze. E la copiatura in reato. A finire nei guai tutti candidati delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Tra loro, solo venti hanno ripetuto l’esame e oggi sono iscritti all’albo.
Altri 41 sono praticanti e in quattro hanno conseguito l’abilitazione all’estero. Ora sarà il consiglio dell’Ordine forense a valutare anche eventuali sanzioni disciplinari.
Non è la prima volta che accade: anche a Catanzaro, dopo la correzione delle prove svolte nel 2013 e vidimate a Firenze, vennero annullati 120 testi, escludendo una buona fetta dei 1600 candidati.
Stavolta, però, a Lecce ci si spinge oltre e si applica l’articolo 1 della legge che da novant’anni punisce “chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri”. Lo aveva ribadito anche la Cassazione, nel 2010: copiare resta un reato, a prescindere dalla fonte (privata, scientifica o giurisprudenziale) dalla quale si attinge. E citarla non basta.