Nel primo caso possiamo immaginare, come i cronisti impietosamente informano, che gruppi più o meno organizzati per tornaconto personale stiano bloccando la raccolta rifiuti. Poiché non possono più assumere a loro piacimento parenti e amici, non ricevono più mazzette o non possono più lucrare sull’enorme quantità di denaro che ruota intorno allo smaltimento dell’immondizia, in questa ipotesi, i corrotti si stanno mettendo di traverso per boicottare il Comune e dimostrare che “senza di noi il diluvio”. Se prevale l’idea che le disgrazie di Roma in merito ai rifiuti sia legata alla corruzione, possiamo nutrire la speranza che, fatti fuori i capi della corruzione o, per i più maligni, costruito un nuovo sistema di potere e corruzione, la macchina si rimetterà in moto.
Se invece prevale la sciatteria, non abbiamo grandi speranze. La sciatteria è uno stato d’animo, in questo caso diffuso a un’azienda pubblica con migliaia di dipendenti e forse anche a tutti i cittadini romani, che porta a pensare: “Non ce la possiamo fare!”, “Deve intervenire qualcun altro!”. Se i cittadini sono già scoraggiati e non collaborano alla raccolta differenziata; se i netturbini sono sempre lì a lamentarsi di questo o quello che non va invece che fare il loro lavoro; se i capi amministrativi e politici rimpallano la responsabilità l’uno con l’altro, il problema certo non si risolverà.
La sciatteria non è altro che un’abitudine mentale per cui si trascura di eseguire ciò che potremmo fare per migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda. Si tratta del frutto della rassegnazione ma anche della scarsa autostima. C’è sempre qualcun altro che deve provvedere al posto nostro perché noi: “Che cosa possiamo farci?”. Se ci sono dieci buste di plastica per terra a quel punto, butto anche quella che ho in mano: “Che cosa cambia?”. L’appello a prendersi cura della propria città a questo punto appare centrale non solo in senso reale quanto in senso psicologico. Riacquisire autostima, l’idea di non essere per forza rassegnati a vivere in mezzo a rovine dell’antichità pensando a se stessi come incapaci di compiere dei cambiamenti positivi.
Se purtroppo la corruzione si sommasse alla sciatteria, il problema sarebbe esponenzialmente maggiore perché l’una alimenta l’altra. Il corruttore ha buon gioco di fronte a istituzioni e cittadini sciatti ad affermare: “Così fan tutti!” e a trovare qualcuno da corrompere con l’idea che “Tanto vale avere un tornaconto personale visto che non si possono cambiare le cose”. Allo stesso tempo il passare da un sistema corrotto a un altro sistema altrettanto corrotto, con altri protagonisti, porta a un ulteriore calo dell’autostima delle maestranze e della cittadinanza che si rassegna a “vivacchiare”.
La sciatteria a Roma parrebbe espressione di una sorta di archetipo costruito in millenni di declino dopo i fasti dell’impero. Sembra radicata, nell’inconscio collettivo, l’idea che questa città non potrà mai più rivivere gli antichi splendori ma che deve rassegnarsi ad accettare di godere passivamente di alcune vestigia del passato, come nel film decadente “La grande bellezza”.