Per la seconda volta mi confronto con la studentessa di medicina di Firenze Marta Tilli. Così, dopo aver affrontato l’importanza del rapporto medico-paziente, usciamo dal dualismo per esplorare come curando la società si possa anche, direttamente e indirettamente, curare l’individuo.
Marta ci spiega che “nel 1848 il medico Rudolph Virchow, per risolvere una terribile epidemia di tifo che era scoppiata nella popolazione polacca, scrisse la seguente ricetta: ‘Istruzione con i suoi figli: libertà e prosperità’. In quell’occasione Virchow affidò per la prima volta alla medicina un nuovo obiettivo: combattere per il miglioramento delle condizioni socio economiche degli strati più poveri della popolazione”. I concetti di questo celebre medico, con grande impegno nel sociale, sono presenti nell’ultima versione del Codice di Deontologia Medica, all’articolo 5, e viene elaborato nel documento “Ripensare la formazione medica” redatto dalla Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (Riisg), ci spiega ancora Marta: “È necessario richiamare gli attuali e futuri medici alla responsabilità sociale, intesa anche come risposta che deve essere data di fronte alle situazioni di crisi, ingiustizia sociale ed emarginazione provocate dall’attuale sistema globalizzato.” La medicina si carica di obiettivi molto al di là del “curare spesso, guarire qualche volta, consolare sempre”. La medicina si carica di compiti tradizionalmente appannaggio della politica. Lo stesso Virchow sosteneva che “la medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala”.
Oggi invece, secondo me, la sanità è in “dipendenza” assoluta dalla politica. In fondo molti medici sono eletti nei due rami del Parlamento italiano come avvenne a Wirchow in Germania. In fondo, ci dice ancora Marta, la Riisg consiglia che “i medici, e più in generale tutti gli operatori della salute, non possono rinunciare a entrare in relazione con i settori della società e con le discipline che lavorano alla ricerca del bene comune. Riteniamo che tale compito non costituisca un aspetto tecnico e facoltativo, quanto piuttosto un imperativo etico”. Un entrare in relazione, conclude Marta, che può tradursi in molti modi. Prima di tutto nell’informarsi, e nel prestare attenzione.
Attenzione, per esempio, a quando un governo taglia fra i 250 e i 350 milioni alla sanità pubblica (questo sta accadendo nella regione Toscana). O ogniqualvolta ci sia una manovra, un intervento da parte di un governo che non vada a vantaggio delle parti sociali più in difficoltà. Attenzione, e azione. Denuncia, sensibilizzazione, spiegazione continua, completa e martellante alla politica di quali possano essere gli effetti sulla salute di determinate scelte. E cooperazione con le parti sociali quando è necessario, quando queste richiedano aiuto sanitario.
Grazie ancora una volta cara Marta perché medici del futuro come te potranno curare gli individui ma anche la società malata. La lotta solo “dal basso”, cara Marta, al fianco del cittadino debole ed indifeso, ancor più quando malato, deve partire in sanità dai medici e se studenti di medicina come te fanno questa lotta già propria nessuno può far cambiare idea e percorso curativo del cittadino e della società.
Non esisterà nessuna azienda farmaceutica, nessuna azienda sanitaria (riuscirete voi giovani a far cambiare questo termine?) che possa interporre al malato illusioni effimere di guadagno oltre il lecito. Curare per guarire, senza sprecare e senza arricchire chi ha investito nella salute e nella malattia. Occorre, cara Marta, mai farsi coprire gli occhi ed avere sempre bene nella mente quanto il cittadino, che diventa paziente, è completamente “dipendente” dal medico: l’immagine da non dimenticare mai è la “sottomissione” totale di un paziente sul letto operatorio.
Per salvaguardare l’individuo occorre mettersi in gioco anche nel provare a curare la società, per il proprio sapere. Cara Marta, è per questo motivo che il 14 agosto del 2003 ho iniziato un lungo cammino nei meandri della sanità, dalla parte del cittadino. Ho scoperto una sanità malata infettata dalla politica.
Ho scoperto politici di qualunque partito che pensano solo al singolare come, forse per paura trattandosi di salute, spesso fanno i pazienti. Non soggettivizziamo per ottenere cure e salute per tutti. Non lasciamo la gestione della salute a persone assolutamente impreparate che possono solo tagliare senza risparmiare. Partecipiamo attivamente, ognuno nel proprio, al cambiamento.
Solo una sanità pubblica per tutti, da tutti in modo crescente sovvenzionata, può far vivere meglio e curare l’individuo e la società.