Notavo, tra raccapriccio e inquietudine, la periodicità con cui si ripetono certe notizie: uccisione del sanguinario capo talebano, colpito per l’ennesima volta, fino a non crederci neanche più. E, soprattutto, la fuoriuscita del paese dal tunnel della crisi: immagine che rievoca l’epilogo dello sforzo sovraumano di faticose peristalsi. Per non parlare delle mirabolanti crescite del Pil da zero virgola zero qualcosa, spacciate per mirabolanti effetti di terapie favolose da pillole del piacere, nelle liturgie dello slurp quotidiano.
Osservavo, altresì, il significativo silenzio sotto cui viene fatto passare il dramma del crescente divario tra Sud e Centro-Nord d’Italia. Quei dati Svimez sono la vera inascoltata Cassandra per gli sciagurati manovratori, che si muovono grigi, impacciati e allucinati, tra truppe di mostri da videogames. Tra mezze verità e obnubilate realtà. Praticamente, cantori delle mezze messe.
Invece, bisognerebbe partire proprio da lì per diagnosticare il fallimento delle terapie seguite finora. Cito testualmente dalle prime anticipazioni del Rapporto Svimez 2015, pubblicate ieri:
“Per il settimo anno consecutivo Pil del Mezzogiorno ancora negativo, Divario di Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ai livelli del Duemila, Pil 2014 a -1,7% in Abruzzo, + 0,8% nel Friuli Venezia Giulia. Nel 2014 quasi il 62% dei meridionali ha guadagnato meno di 12mila euro annui”.
Un’enorme fetta del Paese si arrabatta con un piede – o tutti e due – nel mondo della povertà e ci raccontiamo altre storie nei media.
“Negli anni di crisi 2008-2014 il Sud ha perso -13%, circa il doppio del pur importante -7,4% del Centro-Nord. Il divario di Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, tornando, con il 53,7%, ai livelli del 2000”.
“Dal 2008 al 2014, […]le perdite più pesanti sono al Sud, con profonde difficoltà in Puglia (-12,6%), Sicilia (-13,7%), Campania (-14,4%). Situazione ancora più negativa in Basilicata (-16,3%) e Molise (-22,8%)”.
Quindi, “nel periodo 2001-2014 il Sud molto peggio della Grecia. […] Negativa la Grecia, con -1,7%, ma mai quanto il Sud, che, con -9,4% tira giù al ribasso il dato nazionale (-1,1%), contro il +1,5% del Centro-Nord”.
Sul lungo periodo, la crescita del divario Nord-Sud dovrebbe molto imbarazzare coloro che invece si arrogano il diritto di andare a fare lezioncine ai fratelli greci. In termini di Pil per abitante, “Il divario tra la regione più ricca, il Trentino Alto Adige, e la più povera, la Calabria, è stato nel 2014 pari a quasi 22mila euro”. Crescita minore che in Grecia, anche a livello nazionale, e occupazione tornata ai livelli del 1977. “Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna così a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat”. Dato sconfortante ancor più se si pensa che al Sud, sempre al Sud, lavora una donna su cinque.
“In dieci anni, dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione 667mila persone, rientrate 923mila, con un saldo migratorio netto di 744mila persone, di cui 526mila under 34 e 205mila laureati”. Anche per quest’ultimo motivo è del tutto immotivato continuare a colpire le Università meridionali con tagli sui fondi, sui turn-over dei professori e persino certi emendamenti finalizzati a discriminare gli atenei, poi debitamente cancellati dalla storia. O, almeno, si spera.
Cito da Il Sole 24 Ore: “Le università ad aver subito maggiormente i tagli (basati sui canoni di “finanziamento competitivo” e “costi standard”) sono quelle meridionali, che hanno avuto una riduzione dei finanziamenti del 18,8% contro il -13,1% delle università del Centro Italia e il -7,1% di quelle del Nord”. Se continuano così i barconi nel Mediterraneo cambieranno direzione. Ma non sarà una strategia geniale? Un disegno talmente arguto dei nostri politici cultori dei divari, che proprio non riusciamo a capire?