Tra le 20 e le 20.30, il pubblico del luglio in corso è decisamente diminuito rispetto a quello dell’anno precedente: 16 milioni contro i 17,7 milioni del 2014, con una flessione del 10%. Ma mentre per i programmi di intrattenimento sui vari Rai2, Rai3, Italia1 e Rete4, se n’è andato uno spettatore ogni dodici, i Tg di quell’ora scendono nel loro complesso da 8,5 a 7,5 milioni, perdendo dunque uno spettatore ogni nove. E quindi c’è un problema proprio per il pilastro, il telegiornale, del sistema televisivo italiano (sottolineiamo: italiano).

L’unico che non deve asciugare troppe lacrime è il Tg1 che, pur cedendo 200mila spettatori, arretra meno degli altri e addirittura migliora la “quota di mercato” passando dal 23,2% al 25%. Mentre il Tg5 lascia sul campo due punti secchi e finisce sotto il 17%, più o meno quello che capita, in proporzione, al Tg La7 che scende dal 5,8% al 5,3%.

Pare quasi che, nell’ambito di una generale disaffezione per i tg dei broadcaster, quello più tradizionale regga meglio, quasi a dirci che per capire quel che sta avvenendo conviene guardare non ai prodotti, ma agli spettatori. Quelli del Tg1, in genere più anziani e popolari, probabilmente le notizie continuano ad aspettarle dal telegiornale; mentre gli spettatori, in genere più giovani e con titoli di studio più elevati, che un tempo vedevano Tg5 e Tg La7, forse sempre più trovano nei loro smartphone, lungo tutta la giornata e senza aspettare il rintocco del notiziario serale, tanto le notizie quanto i commenti immediati, e quindi tutta la polpa dei Tg. Restando comunque la risorsa dei talk ai bulimici della chiacchiera, della indignazione e della sit com guidata da un conduttore.

Una potente lente di ingrandimento andrebbe poi posta sopra i Tg regionali, quelli che trasmettono tra le 19.30 e le 20. Perdono più meno quanto i Tg nazionali, e cioè l’11,5%. Ma sotto il dato medio traspare il cedimento strutturale in alcune regioni, Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Abruzzo, Molise, Calabria e Sicilia, dove gli spettatori calano da un quinto a un terzo rispetto a quelli di un anno fa. Un recente tracollo che accentua la già nota marginalità nel Sud, dove, proprio nelle regioni più popolose (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) i Tgr, galleggiano, si fa per dire, fra il 5 e il 7%.

Sembra evidente che la impostazione editoriale, strutturale e organizzativa della informazione della azienda pubblica si stia confrontando con due crisi: una, condivisa con tutti i broadcaster, derivante dal dilagare di internet; l’altra, specifica della Rai, per la consunzione (costosissima consunzione, visto che coinvolge, a occhio, un decimo del totale delle risorse aziendali) della informazione locale per come è concepita, fatta e trasmessa (anche qui, forse, è il caso di cominciare a guardare alla Bbc, che di edizioni delimitate territorialmente ne fa di meno, ma sull’ammiraglia, mentre il flusso delle notizie e approfondimenti locali li ha potentemente avviati al web. Tanto per afferrare il futuro anziché farsene minacciare.

PS: ad agosto Sciò Business va in vacanza. Ma non chiude la posta: s.balassone@alice.it

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