Pionieri dell’heavy metal, gli Uriah Heep (nome preso in prestito dal personaggio presente nel romanzo di Charles Dickens David Copperfield ) hanno avuto la classica parabola dei gruppi di successo degli Anni 70, che si sono ritrovati nel dimenticatoio verso gli Anni 80 per poi risorgere negli Anni 2000 come band di culto. “La musica entra ed esce continuamente dalle grazie della moda – spiega il chitarrista Mick Box, l’unico superstite della formazione originaria, in Italia per esibirsi con la band domani 1° agosto a Lido Po in provincia di Reggio Emilia – Non sparisce mai e quelli che durano ci riescono perché hanno grandi canzoni che superano la prova del tempo e che le persone amano sentire dal vivo nelle arene”.
Assieme ai Black Sabbath e ai Grand Funk Railroad, agli esordi, gli UH facevano parte della “triade dei grandi incompresi” e una giornalista, Melissa Mills, scrisse su Rolling Stone che “se questo gruppo ce la farà io dovrò suicidarmi…”. “È stato fantastico – dice Mick Box – perché siamo diventati rapidamente una band della gente. Melissa Mills non scrive più per Rolling Stone mentre gli Heep sono ancora qui dopo 45 anni, quindi l’abbiamo decisamente smentita. Però non ho mai saputo se si sia suicidata o meno…”. Continui cambi di formazione hanno minato la stabilità del gruppo, che però è riuscita a sfruttare la propria fama nei primi Anni 80 grazie al boom del Metal anglosassone e nel 2015 sono ancora in pista dopo aver pubblicato, l’anno scorso, un nuovo disco, il ventiquattresimo, intitolato Outsider.
Mick Box, può dirci quali sono le principali differenze tra le varie ere vissute dagli Uriah Heep?
È una questione di livelli di successo, davvero. All’apice della nostra fama, negli Anni 70, era molto più facile farcela dal momento che musica, moda e sport erano gli unici settori nei quali potevi essere coinvolto. Vi erano inoltre case discografiche ben disposte ad investire negli artisti in cui credevano. Ad esempio, firmavi un contratto per 6 album, l’etichetta cresceva con te e tu con lei. Tutto ciò non esiste più. Ci sono così tante “distrazioni” già soltanto nel tuo cellulare, per non parlare di internet. Quel livello di successo non può più essere raggiunto, Internet ha ormai cambiato il nostro modo di comprare, registrare e ascoltare musica.
Se si guarda indietro, come giudica la carriera degli Uriah Heep?
Direi grandiosa! Abbiamo venduto oltre 40 milioni di album, suonato in oltre 58 paesi, stiamo andando ancora forte dopo 45 anni e continuiamo a pubblicare nuovo materiale. Siamo stati pionieri del rock, avendo suonato in Russia nel dicembre del 1987 in qualità di prima band occidentale. Siamo stati invitati dalla Glasnost e siamo saliti sul palco di fronte a 180.000 persone a Mosca. Siamo stati anche la prima rock band occidentale a suonare in Cecoslovacchia (ora Repubblica Ceca e Slovacchia), nella Germania dell’Est, in Bulgaria e anche in Corea del Sud. Grazie al nostro successo altre band hanno poi potuto seguire le nostre orme.
Ha rimpianti?
La perdita di David Byron, Gary Thain e Trevor Bolder, i tre con cui tutto è iniziato.
Lei è l’unico sopravvissuto della band originaria: quanto è dura portare avanti la leggenda degli Uriah Heep?
Finché ci sarò io lo spirito degli Heep non morirà mai. È solo una questione di musica, tutto ciò che le gira attorno va e viene. Ci metto la stessa passione ed energia di sempre e sono sicuro che questo entusiasmo sia “contagioso” anche per gli altri membri della band.
Qual è il suo album preferito della vostra discografia?
Sinceramente non ne ho uno in assoluto, ma dovendo scegliere direi Demons & Wizards, quello che ha catapultato gli Uriah Heep nel panorama mondiale.
Come trascorre la giornata una rockstar come Mick Box?
Intendi on the road? Quando dobbiamo raggiungere il luogo dello spettacolo successivo abbiamo la sveglia puntata sempre allo stesso orario, non importa a che ora siamo andati a letto la notte precedente. A volte viaggiamo anche per 7/8 ore al giorno prima di suonare, ma ne vale sempre la pena una volta saliti sul palco! Dal momento che sono spesso in tour, quando torno a casa tolgo il cappello da rockstar e metto quello dell’uomo di famiglia, la quale chiede giustamente un po’ del mio tempo.
L’anno scorso avete pubblicato un nuovo album, Outsider.
È un classico album rock dritto e senza fronzoli. È piaciuto molto sia al pubblico che ai media e dal vivo i brani suonano alla grande. Volevamo un titolo composto da una sola parola e avevamo una canzone, la title-track, chiamata The Outsider così abbiamo tolto semplicemente l’articolo. Da allora, molta gente ci ha voluto leggere qualcosa ma la verità è quello che ho appena scritto. È un gran titolo per un album rock comunque.
Le canzoni di cosa parlano?
Di varie cose, dalla legge al rischiare la pelle nella grande città (One Minute), dalla folle velocità a cui si muovono le nostre esistenze (Speed of Sound) all’attore che si trasforma in criminale (Can’t Take That Away) passando per molto altro.
C’è qualche nuova band che l’appassiona?
Onestamente, non ho sentito nulla di eccitante negli ultimi tempi.
Domani sera vi esibite qui in Italia, che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci?
Abbiamo deciso una scaletta che attraverserà i 45 anni di carriera della band. Siamo molto orgogliosi della nostra storia quindi suoneremo sempre classici come July Morning, Lady in Black, Easy Livin’ e Gypsy alternandoli ad alcune canzoni da Outsider. Recupereremo anche un po’ di vecchio materiale che ci piace suonare, compreso quello dei tempi “prog”. Adoriamo suonare in Italia. I vostri fans sono molto appassionati di rock, noi amiamo suonarlo e va da sé che ogni volta che torniamo in questo magnifico paese è un vero spasso.