Il Tribunale di Roma ha condannato l'autore di "Colpo di Stato" Mario Di Domenico e i suoi editori a dare più di 60mila euro all’ex pm di Mani Pulite. L'accusatore parlò a “Report” e contribuì alla sua fine politica nel 2012
In pochi anni è passato da cofondatore dell’Italia dei Valori ad accusatore di Antonio Di Pietro con denunce come quelle contenute nel libro “Colpo allo Stato” pubblicato nel 2011. Il 6 luglio, però, il Tribunale di Roma ha condannato Mario Di Domenico e i suoi editori a risarcire con più di 60mila euro l’ex pm di Mani Pulite, danneggiato da quei racconti diffamatori. Lui scriveva quello “che ho visto da dentro, di cui sono stato complice inizialmente da dentro, sono stato un po’ l’anima nera”, spiegava a Report nella puntata dell’ottobre del 2012 che destò grande clamore, quella del ‘misunderstanding’ sulle “proprietà” della famiglia Di Pietro. In quel libro del 2011, aveva raccontato parte della vita di Di Pietro, sia come magistrato, sia come leader dell’Idv. Tuttavia, secondo il giudice Monica Velletti della I sezione civile, molte storie narrate sono infondate e “diffamatorie”.
Sono diversi gli episodi contestati dall’ex pm, a partire dal “caso Pazienza”, faccendiere coinvolto nel crac del Banco Ambrosiano scappato alle Seychelles. L’autore sostiene che il pm “si sarebbe recato nel 1984 nell’arcipelago dell’Oceano indiano ‘sulle tracce di Pazienza all’insaputa del Procuratore capo dell’Ufficio di Bergamo’ e rientrato avrebbe redatto un rapporto informativo consegnato al Procuratore capo della Procura di Bergamo. Secondo l’autore del libro tale condotta sarebbe indice del coinvolgimento dell’odierno attore nei servizi segreti militari”. Di Pietro era sì alle Seychelles, ma in viaggio con la moglie, e quando apprese che lì si trovava il latitante inviò una rapporto al suo superiore. Nessun collegamento con gli 007, come già accertato nel 1996 da una sentenza del Tribunale di Milano. Non ne ha tenuto conto Di Domenico, che “ha utilizzato espedienti narrativi tali da indurre il lettore a desumere collegamenti tra Di Pietro e i servizi segreti”, si legge nella sentenza.
Altra vicenda riguarda “il caso Pacini Battaglia”, banchiere poi condannato che parzialmente collaborò con il pool Mani pulite. “Secondo l’autore… Di Pietro non avrebbe inquisito Francesco Pacini Battaglia, pur avendo appreso fatti costituenti reato – sostiene il giudice -. La circostanza è falsa”. A certificarlo, due sentenze di proscioglimento per l’ex pm che Di Domenico non ha considerato, come molte altre sentenze a lui favorevoli “non compiendo approfondita analisi delle fonti”.
Di Domenico non teneva neanche conto dell’archiviazione della sua denuncia sulla presunta sparizione di 1,1 milioni di euro dai bilanci dell’Idv, secondo lui finiti alla famiglia Di Pietro per l’acquisto di immobili. Una denuncia infondata e archiviata nel 2009 perché “i finanziamenti effettuati da Di Pietro quale socio della An.To.Cri. srl (la società di famiglia, ndr) risultavano pienamente giustificati”, ricorda oggi il Tribunale.
Tuttavia quell’informazione fasulla, contenuta nel libro del 2011 e ripresa da molti giornali dopo il servizio di Report, aveva dato origine a una campagna mediatica contro l’ex pm: per tutti, Di Pietro e famiglia avevano acquistato 56 immobili, che in realtà erano 56 particelle catastali per un totale di 11 immobili, tra cui le case della moglie, del suocero e dei due figli maggiorenni, i terreni di campagna e la masseria paterna a Montenero di Bisaccia. Non proprio un impero. Ora, quattro anni dopo il libro e la campagna che ne seguì, una sentenza punisce l’autore della bufala.
“Se da una parte – commenta l’ex pm al Fatto – sono contento che venga fuori la verità, dall’altra resta l’amarezza per il danno provocato. Il contenuto del libro è stato ripreso da tanti media. La mia figura dava fastidio. Nella mia vita mi sono dovuto dimettere da magistrato, poi da ministro, poi lasciare definitivamente la politica. Sempre per accuse che si sono poi rivelate false. Ma troppo tardi”.
da il Fatto Quotidiano di sabato 1 agosto 2015
di Andrea Giambartolomei e Valeria Pacelli