Lo stipendio di 70mila dollari l’anno uguale per tutti all’inizio era stato accolto con entusiasmo. Ma a neanche quattro mesi di distanza già due dipendenti hanno dato le dimissioni dalla Gravity Payments, la società di Seattle il cui fondatore Dan Price aveva deciso di tagliarsi la retribuzione (pari all’epoca a 1 milione di dollari) del 93% per alzare quella di tutti gli impiegati. Il motivo? Dopo un po’ di riflessione, sono arrivati alla conclusione che quel salario di tutto rispetto ma identico per i capi e per gli ultimi arrivati non premia adeguatamente il merito e anzi va soprattutto a vantaggio dei meno motivati. A darne notizia è il New York Times, che racconta come la financial manager Maisey McMaster, entrata in azienda cinque anni fa, e il web developer Grant Moran, anche lui tra i primi assunti, abbiano sbattuto la porta.

La prima ha fatto sapere di non aver apprezzato gli aumenti a “persone che hanno un livello di competenze bassissimo e non sono qualificate per il lavoro”, mentre chi “fa di più non ricevuto in realtà un grande beneficio”. Un piano più equo “dovrebbe prevedere incementi di salario inferiori per gli impiegati assunti per ultimi e la possibilità di guadagnare di più all’aumentare dell’esperienza“.

Dal canto suo Moran ha detto di temere che la nuova policy non favorisca l’etica del lavoro: “Ora chi timbra il cartellino e basta guadagna come me. Questo mette sullo stesso piano chi ha performance migliori e i meno motivati”. Peraltro non gli è piaciuto nemmeno il fatto che l’ammontare esatto della sua busta paga sia stato reso pubblico.

Insomma l’esperimento di Price, che dopo l’annuncio di aprile ha ricevuto migliaia di cv, si è guadagnato l’attenzione della stampa internazionale ed è oggetto di uno studio da parte dell’università di Harvard, gli si è ritorto contro. Quel che è peggio, la crociata contro la disuguaglianza salariale gli è costata anche una denuncia da parte del fratello maggiore, cofondatore della società, secondo cui la decisione ha violato i suoi diritti di socio di minoranza violando gli accordi sottoscritti nel 2006.

 

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