In un paese della Versilia si moltiplicano le ordinanze di divieto di usare quanto esce da rubinetti e fontane a fini alimentari. Ma secondo uno studio dell'università di Milano il 61% degli abitanti ha livelli di contaminazione fino a 480 volte le persone non esposte. L'Asl invita alla calma: "E' solo una prima parte dell'indagine". E il sindaco giura: "Torneremo alla normalità insieme al comitato dei cittadini"
Per almeno sessant’anni oltre mille abitanti di Valdicastello, nel Comune di Pietrasanta (in Versilia) hanno cucinato pasta, lavato insalate, riempito bottiglie e caraffe con acqua “particolare”: piena di tallio. Un metallo prezioso quanto tossico: un veleno inodore, insapore, incolore, che uccide lentamente e non lascia traccia. Lo usava il regime iracheno per far fuori gli oppositori politici. A Pietrasanta è stato servito a tavola, come un succo di frutta. Goccia dopo goccia, anno dopo anno, per sessant’anni, almeno. A rivelarlo è uno studio dei ricercatori del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa sulle miniere di perite a monte del paese, attive fino agli anni Ottanta ma mai bonificate, dove è stata scoperta una diffusa mineralizzazione a tallio, rarissima nel mondo, come solo in Cina si trova. Da lì, il metallo sarebbe finito dritto dritto nella sorgente che alimenta l’acquedotto a cui sono collegate le case di oltre mille persone.
Fino ad allora Valdicastello era meta tranquilla di un turismo perbene, a due passi dalle ricche ville della Versilia e dalle gallerie d’arte della “piccola Atene“, così viene chiamata Pietrasanta. Ora le ansie arrivano attraverso le ordinanze del sindaco. L’ultima volta a metà luglio con il divieto di uso dell’acqua a fini alimentari in una zona fino a oggi fuori pericolo, nel centro storico di Pietrasanta.
Potrebbe essere troppo tardi. Almeno un abitante su due, secondo i primi esami, è stato “contaminato”. Le analisi delle urine effettuate dall’Istituto di medicina legale e tossicologia forense dell’Università di Milano, parlano di esiti “molto preoccupanti” per 88 dei 700 campioni analizzati. Da quelle del capello emerge poi che il 61% degli abitanti ha livelli di contaminazione da tallio che vanno da 5-10 volte a 240-480 volte il valore di tallio nei capelli di persone non esposte. Risultano infine contaminati il 44% dei minorenni. A rischio circa 1.300 persone. E stiamo parlando solo dei residenti: mancano all’appello i turisti o gli amici dei residenti. Il numero poi sembra essere destinato a crescere, se si considera che per decenni patate, pomodori e carote sono stati coltivati in terre irrigate con acqua avvelenata. Ed è proprio sulle conseguenze in agricoltura che si concentreranno ora gli studi dei geologi di Pisa, grazie anche a un finanziamento regionale (fino a oggi la ricerca è stata autofinanziata).
Ma la domanda adesso è: cosa succederà? Qual è il rischio sanitario? “Non siamo ancora in grado di dirlo, non ci sono studi. Mentre gli effetti di forti intossicazioni sono noti, non lo sono quelli per basse esposizioni prolungate nel tempo” dichiara a ilfattoquotidiano.it Ida Aragona, direttrice del dipartimento prevenzione dell’Asl della Versilia, che insieme all’Agenzia regionale sanità e alla rete dei laboratori di sanità pubblica, sta portando avanti un macro studio epidemiologico, con tanto di doppi turni del personale, per la valutazione dell’impatto dell’esposizione a tallio. “È terminata la prima parte dello studio, quello delle analisi preliminari sul capello e sulle urine – chiarisce Aragona – Stiamo adesso facendo uno studio sullo stato di salute della popolazione, con dati relativi al consumo di farmaci, ai ricoveri ospedalieri, alle nascite. Le informazioni verranno messe in relazioni con i dati del resto della Versilia e della Toscana e a quel punto verificheremo se ci siano patologie e quali”.
La Procura di Lucca intanto ha aperto un fascicolo, per il momento senza indagati. I reati ipotizzati in questa fase dell’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Lucia Rugani, sarebbero avvelenamento di acque e sostanze alimentari e omissione di atti d’ufficio. Secondo Massimo D’Orazio, uno dei geologi autori della scoperta, la contaminazione dell’acqua dell’acquedotto “è dipeso da un processo naturale di mineralizzazione del sottosuolo – spiega a ilfattoquotidiano.it – aggravato dall’attività mineraria e dalla mancata messa in sicurezza delle miniere”. Si tratta di tre miniere che appartenevano a un’unica società, la Edem, prima che questa fallisse e che la concessione fosse acquistata dal Comune, nel 2003, durante l’amministrazione del sindaco appena rieletto, Massimo Mallegni. Allora fu promessa una bonifica, ma non è mai stata effettuata.
E com’è possibile che né Asl né Gaia (la società che gestisce il servizio idrico) si siano accorti della presenza del tallio nell’acqua? “Si stima che siano almeno sessant’anni che il tallio è presente nell’acqua della sorgente”, continua D’Orazio. E qui l’inchiesta della Procura potrebbe scontrarsi con un enorme vuoto normativo. Sia Gaia sia Asl infatti si giustificano sostenendo che il tallio non rientra tra i parametri di qualità e conformità dell’acqua per il consumo umano previsti dalla normativa. Ed è vero. L’Italia non lo inserisce tra gli elementi normati per le acque destinate al consumo umano, ma ne stabilisce un limite (2 µg/l ) solo per le acque sotterranee. Questo nonostante il tallio sia riconosciuto tossico dalla Agenzia statunitense per la protezione ambientale con limite nelle acque potabili di 2 µg/l e in quella cinese con un limite ancora più basso a 0,1 µg/l. “Tuttavia – informa il geologo – la normativa italiana prevede in ogni caso che la sicurezza dei cittadini debba essere garantita. E il tallio è tra gli elementi tossici per l’uomo”.
Le analisi dei campioni d’acqua prelevati dai geologi a settembre rilevavano una presenza del metallo dai 2,76 µg/l ai 10,13 µg/l, quasi 10 volte il limite cinese e 5 volte quello Usa. Superavano di gran lunga il limite di 2 µg/l anche le analisi effettuate da Gaia il 15 luglio in alcune zone di Pietrasanta. Inoltre, benché il caso sia scoppiato solo lo scorso anno, i ricercatori avevano allarmato sulla possibile presenza di tallio nell’acqua già tempo prima, nel 2013. Ma solo ad analisi concluse le autorità locali hanno fatto scattare misure di sicurezza: vietato bere o cucinare con l’acqua di casa e soprattutto stop alla sorgente inquinata. “Appena insediati la prima cosa che ho fatto è stata scrivere a Gaia e metterci subito al lavoro – chiarisce il sindaco Mallegni – Abbiamo chiesto la sostituzione delle tubature interessate dalla presenza del tallio, e Gaia sta procedendo a sostituirne diversi chilometri, così come abbiamo chiesto di ampliare la rete dei campionamenti perché vogliamo capire e sapere dove è presente il tallio. Anche in minima parte. Vogliamo stare tranquilli”. “Ma stiamo cercando di fare di più e di far ottenere ai residenti di Valdicastello – continua il sindaco – che stanno vivendo un disagio enorme, circa un migliaio di famiglie, il rimborso con retroattività fino al 2011. Stiamo lavorando anche per i residenti del centro storico dove Gaia non applicherà la tariffa di acquedotto in proporzione ai giorni di durata della stessa ordinanza. Tuteleremo la salute dei nostri cittadini fino in fondo”.
L’acquedotto viene adesso alimentato da un’altra sorgente, lontana dalle miniere e sicuramente pulita. Tuttavia le tubature sono talmente intrise di tallio che l’acqua, nonostante entri pulita, rischia di uscirne contaminata. “Divieto fino a nuove disposizioni”, si legge nelle ultime due ordinanze, del 8 e 16 luglio. Disposizioni che, probabilmente, arriveranno quando tutti i 5mila metri di tubature che scorrono sotto Valdicastello e parte di Pietrasanta verranno cambiati. Nel frattempo “occhio all’acqua”.