Il governo voleva affidare a un commissario il Gestore dei servizi elettrici e la Sogin (nucleare). E invece ha scelto un nuovo ad per il Gse, sempre meno utile
L’idea sembrava sensata e girava da mesi: accorpare due società pubbliche in declino e affidarle a un commissario, risparmiando costi e poltrone e facendo fuori qualche nemico politico. Al governo ragionavano sull’ipotesi di affidare alla dirigente del ministero dello Sviluppo economico Sara Romano la Sogin, controllata del Tesoro che si occupa di gestire l’eredità del nucleare italiano, e il Gse, il Gestore dei servizi energetici che amministra gli incentivi alle rinnovabili, in contrazione di anno in anno dopo la pioggia di miliardi dell’ultimo decennio. Con questa mossa Matteo Renzi si sarebbe liberato in un solo colpo di Nando Pasquali, storico ad del Gse considerato vicino a Gianni Letta, e dei due vertici di Sogin, Fabrizio Casale (ad) e Giuseppe Zollino (presidente), nominati dall’altro Letta, Enrico, quando era premier.
E invece no: a sorpresa la Sogin continua per la sua strada, in attesa del famoso deposito unico nazionale delle scorie che nessun politico vuole davvero, e il Gse ha un nuovo amministratore delegato con pieni poteri, al posto di Pasquali, arrivato a fine mandato. Si chiama Francesco Sperandini, da quasi due anni era al Gse in una posizione importante, direttore della divisione operativa. Sperandini ha lavorato quindici anni in Acea, l’enorme multiutility controllata dal Comune di Roma di cui è socio importante l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone. Ai tempi di Acea, Sperandini era legato all’allora capo della finanza, quell’Andrea Mangoni, oggi nel cda di Fincantieri, che è sui giornali in questi giorni per essere finito sotto inchiesta in quanto ex ad di Sorgenia (indagato nell’inchiesta sul presunto disastro ambientale di Tirreno Power, centrale che era controllata da Sorgenia).
Come Mangoni, Sperandini è un manager di area Pd: in Acea lo ricordano tra gli animatori del circolo interno all’azienda (sì, a Roma, c’è un circolo Pd dentro l’Acea) e anche per il congedo dalla società. Una storia ricostruita in dettaglio dal Sole 24 Ore nel novembre 2014: nel 2010 Acea eroga 2,5 milioni di prestiti a Sienergia, una joint venture costituita con il Comune di Perugia (una curiosa alleanza). Con 1,7 milioni di quei due milioni e mezzo, Sienergia compra la quota di controllo – il 51% per la precisione – di Sienergy Project, altra società che contiene un impianto di teleriscaldamento a Perugia. Otto mesi dopo Gaia, l’azienda titolare dell’altro 49%, vende il 10 per cento di Sienergy a una terza società, la I3G per 150mila euro.
Eppure, se Sienergy valeva sempre uguale, I3G avrebbe dovuto pagare 330 mila euro. Quindi o era troppo alto il primo prezzo, o troppo basso il secondo. La I3G, la società che sembra aver comprato a un prezzo scontato, era di Luca Di Carlo, l’amministratore delegato di Sienergia quando venne proposto per la prima volta in cda l’investimento, e di sua madre Venera Musumeci. Francesco Sperandini era anche lui nel cda di Sienergia, in rappresentanza proprio di Acea. Poi Sienergia è fallita e non ha mai rimborsato i 2,5 milioni avuti in prestito da Roma.
Tutto questo è rilevante perché, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, l’ad di Acea Paolo Gallo (succeduto a Mario Staderini, al comando ai tempi dell’azione Sinergia) stava valutando un’azione di responsabilità nei confronti di Sperandini. Che lascia Acea nell’ottobre 2013, pochi mesi dopo la nomina di Gallo come ad. L’azione di responsabilità, per chiedere conto a Sperandini di quella strana operazione umbra e dei 2,5 milioni spariti, sarebbe probabilmente arrivata a compimento, ma poco più di un anno fa il sindaco di Roma, Ignazio Marino, decide di licenziare Gallo. E chi arriva? Alberto Irace, perfetto per la nuova stagione renziana (in quell’epoca i rapporti tra Campidoglio e palazzo Chigi erano migliori): ex ad della toscana Publiacqua, amico del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, anche lei a suo tempo nel cda di Publiacqua. Irace non dà seguito all’azione di responsabilità e così, senza strascichi, Sperandini può essere promosso alla guida del Gse, facendo dimenticare anche che uno dei suoi amici politici importanti era l’ex presidente del Consiglio comunale romano Mirko Coratti, poi arrestato nell’inchiesta Mafia Capitale .
Tenere la politica lontana dalla gestione dell’energia sembra impossibile. Anche gli altri due candidati interni del Gse avevano le loro sponde politiche: Massimo Ricci, guida il Gestore del mercato elettrico, una controllata del Gse che è sempre stata al centro delle attenzioni dell’Udc e in particolare di Lorenzo Cesa. Il terzo aspirante, Paolo Vigevano, amministratore delegato dell’Acquirente unico (altra controllata Gse), è considerato anche lui in buoni rapporti col Pd, lato Pier Luigi Bersani.
Ma se questi manager possono rivendicare comunque curricula coerenti con le ambizioni ed esperienza nel settore, c’è un altro segnale che indica un eccesso di influenza politica: il Gse è sempre meno rilevante, i programmi di incentivi iniziano a scemare, ma i dipendenti non smettono di crescere. Erano 1.076 a fine 2011 e sono lievitati a 1.186 nel 2012 e 1.277 nel 2013. Il Movimento Cinque Stelle, col deputato Andrea Vallascas, ha presentato un’interrogazione parlamentare dopo gli articoli di La Notizia Giornale sui tanti “figli e parenti di” tra gli assunti al Gse: “Tra gli altri, vi operano la figlia del consigliere diplomatico del ministro Guidi, il figlio del consigliere del Quirinale per la conservazione del patrimonio artistico, la figlia di una storica segretaria di Bersani, vari parenti di deputati di Forza Italia vicini a Berlusconi”. Il ministero ha risposto che le regole sulla privacy impediscono di indagare sulle famiglie degli assunti che, comunque, superano una selezione “attenta e trasparente”, assicura il Gse nel bilancio. Chissà se nella gestione Sperandini i dipendenti inizieranno a diminuire invece che aumentare.
da Il Fatto Quotidiano del 29 luglio 2015