Sabato mattina il premier Matteo Renzi ha visto il candidato favorito a guidare la Rai: Antonio Campo Dall’Orto, già a capo di La7 e Mtv, uno dei primi renziani. E in serata ha visto Pier Carlo Padoan, formalmente azionista unico della Rai con il ministero del Tesoro. Domani i nomi della nuova squadra di vertice della tv pubblica dovrebbero essere ufficiali. Quando le trattative sono così avanzate, di solito si comincia a parlare di soldi. Che nel caso della Rai sono un aspetto rilevante della questione: ormai quasi nessuna poltrona pubblica può ancora offrire gli stipendi che promette viale Mazzini. Sia per il presidente che dovrebbe avere un minimo di 100-200mila euro (a salire in base a quante deleghe avrà). Ma soprattutto per il direttore generale, e poi destinato a trasformarsi in amministratore delegato, che è autorizzato a sfondare il tetto in teoria universale che fissa a 240mila euro lordi all’anno la retribuzione massima per i dirigenti pubblici.
La storia di questa eccezionalità è istruttiva. Nel bilancio 2014 della Rai, approvato il 25 maggio scorso dall’assemblea degli azionisti (cioè dal ministero del Tesoro), si legge che “L’art. 13 della Legge n. 89/2014 ha riferito il limite massimo ai compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni all’importo di 240.000 euro annui”. E la Rai si adegua. Nei gironi successivi il direttore generale Luigi Gubitosi e altri top manager fanno il bel gesto di adeguare al ribasso il proprio compenso. Differenze non di poco conto, visto che il capo azienda ha sempre incassato attorno ai 600mila euro lordi annui, tranne Lorenza Lei che riuscì a trovare il modo di portarlo a 750mila.
Secondo quanto ricostruito da Leandro Palestrini e Aldo Fontanarosa su Repubblica.it il 18 maggio, l’ufficio del personale Rai convoca 42 alti dirigenti “perché firmassero una lettera. C’era scritto che il loro stipendio veniva tagliato a partire da subito. Con la busta paga di maggio, questi dipendenti (Giancarlo Leone, Antonio Marano, Lorenza Lei, tra gli altri) avrebbero ricevuto il corrispettivo mensile di 240 mila euro lordi annui”. Qualcuno prova a obiettare che la Rai è un’azienda normale, anche se controllata dallo Stato, e quindi il tetto non si può applicare. Ma vince la linea dell’austerità. O così sembra.
Perché il bilancio Rai stabilisce anche che l’azienda “potrà procedere all’attuazione dell’iter propedeutico all’emissione in una o più tranches di un prestito obbligazionario non convertibile, fino a un importo massimo di 350 milioni di Euro, destinato a investitori istituzionali, da quotare nei mercati regolamentari”. La parola chiave è “quotare”.
Tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo Stato che emettono titoli di debito quotati. Lo spirito doveva essere che quelle con una struttura finanziaria complessa devono poter assoldare i migliori professionisti sul mercato, che costano. Ma nella pratica l’effetto è che basta fare le giuste scelte finanziarie. Il 20 maggio 2015, due giorni dopo che Gubitosi aveva convocato i dirigenti per tagliare i loro stipendi, l’agenzia Reuters comunica che la Rai ha avviato il collocamento di un bond da 350 milioni. Addio tetto.
La nuova riforma renziana non si pone il problema: si limita a stabilire che “il consiglio di amministrazione, su indicazione dell’assemblea, determina il compenso spettante all’amministratore delegato”. Quindi decide di fatto il governo, senza limiti. Antonio Campo Dall’Orto può sperare di avere anche lui 5-600mila euro come i predecessori.
Il fatto che il governo abbia deciso di procedere con le nomine usando la vecchia legge Gasparri del 2004 invece che aspettare l’approvazione anche alla Camera della riforma apre poi interessanti opportunità per Campo Dall’Orto. Secondo un’usanza inimmaginabile nel settore privato, i direttori generali della Rai si facevano anche assumere a tempo indeterminato. Quando cambiava il partito al potere, venivano accantonati ma non perdevano lo stipendio. La riforma prevede espressamente che non può essere dipendente della Rai: se anche lo fosse al momento della nomina, prima deve dimettersi e poi accettare la carica di amministratore delegato. Ma la riforma, appunto, non vige ancora. Quindi Campo Dall’Orto in teoria può ancora fare in tempo a farsi assumere.
Dal centrodestra c’è chi suggerisce, come alternativa a Capo dall’Orto, il nome di Giancarlo Leone, attuale direttore di Rai1, attivissimo su Twitter. Sarebbe un direttore generale di transizione in attesa dell’approvazione della riforma e non dovrebbe neppure dimettersi finché restano in vigore le vecchie regole. Ma è una soluzione che per Renzi diventerebbe un’ammissione di debolezza. Vedere Campo dall’Orto prima di partire per il Giappone – il premier rientrerà a nomine fatte – è stato un segnale chiaro. E l’ex manager di La7 e Mtv è così consapevole delle proprie possibilità che nei giorni scorsi, come rivelato dal Fatto, si è fatto rilasciare un parere da un importante studio legale romano per essere sicuro che fosse possibile la trasformazione in corsa da direttore generale ad amministratore delegato quando sarà approvata la riforma. Sarebbe spiacevole trovarsi a guidare la Rai solo per pochi mesi e poi dover lasciare il posto a un altro.
Anche se Campo Dall’Orto dunque sembra sicuro, è tutto ancora aperto, bisogna trovare l’incastro tra le varie tessere, a cominciare da quella del presidente (vedi box qui sopra). Questa sera ad Arcore Silvio Berlusconi si consulterà con i suoi sherpa e prenderà le sue decisioni, lunedì si riunisce la commissione di vigilanza che, con la maggioranza dei due terzi, deve approvare l’indicazione del presidente che arriva dal cda ma di fatto dal governo. Chissà se Campo Dall’Orto – o i suoi sfidanti, Andrea Scrosati di Sky e Marinella Soldi di Discovery – appena arrivati a viale Mazzini rimetteranno il tetto agli stipendi, incluso il proprio.
Il passato consiglia scetticismo.
da il Fatto Quotidiano del 2 agosto 2015
Politica
Rai, il trucco per aggirare il tetto stipendi: così nuovo dg potrà prendere 500mila euro
Prima di partire per il Giappone Renzi ha incontrato Antonio Campo Dall'Orto, ex dirigente di La7 e Mtv, renziano della prima ora, ora favorito come direttore generale della Rai. Anche lui potrà prendere oltre 500mila euro perché nella tv pubblica i limiti ai compensi sono durati due giorni: l'azienda li ha introdotti il 18 maggio e il 20 ha emesso titoli di debito quotati e così può approfittare della scappatoia prevista dalla legge sulle società controllate dal Tesoro
Sabato mattina il premier Matteo Renzi ha visto il candidato favorito a guidare la Rai: Antonio Campo Dall’Orto, già a capo di La7 e Mtv, uno dei primi renziani. E in serata ha visto Pier Carlo Padoan, formalmente azionista unico della Rai con il ministero del Tesoro. Domani i nomi della nuova squadra di vertice della tv pubblica dovrebbero essere ufficiali. Quando le trattative sono così avanzate, di solito si comincia a parlare di soldi. Che nel caso della Rai sono un aspetto rilevante della questione: ormai quasi nessuna poltrona pubblica può ancora offrire gli stipendi che promette viale Mazzini. Sia per il presidente che dovrebbe avere un minimo di 100-200mila euro (a salire in base a quante deleghe avrà). Ma soprattutto per il direttore generale, e poi destinato a trasformarsi in amministratore delegato, che è autorizzato a sfondare il tetto in teoria universale che fissa a 240mila euro lordi all’anno la retribuzione massima per i dirigenti pubblici.
La storia di questa eccezionalità è istruttiva. Nel bilancio 2014 della Rai, approvato il 25 maggio scorso dall’assemblea degli azionisti (cioè dal ministero del Tesoro), si legge che “L’art. 13 della Legge n. 89/2014 ha riferito il limite massimo ai compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni all’importo di 240.000 euro annui”. E la Rai si adegua. Nei gironi successivi il direttore generale Luigi Gubitosi e altri top manager fanno il bel gesto di adeguare al ribasso il proprio compenso. Differenze non di poco conto, visto che il capo azienda ha sempre incassato attorno ai 600mila euro lordi annui, tranne Lorenza Lei che riuscì a trovare il modo di portarlo a 750mila.
Secondo quanto ricostruito da Leandro Palestrini e Aldo Fontanarosa su Repubblica.it il 18 maggio, l’ufficio del personale Rai convoca 42 alti dirigenti “perché firmassero una lettera. C’era scritto che il loro stipendio veniva tagliato a partire da subito. Con la busta paga di maggio, questi dipendenti (Giancarlo Leone, Antonio Marano, Lorenza Lei, tra gli altri) avrebbero ricevuto il corrispettivo mensile di 240 mila euro lordi annui”. Qualcuno prova a obiettare che la Rai è un’azienda normale, anche se controllata dallo Stato, e quindi il tetto non si può applicare. Ma vince la linea dell’austerità. O così sembra.
Perché il bilancio Rai stabilisce anche che l’azienda “potrà procedere all’attuazione dell’iter propedeutico all’emissione in una o più tranches di un prestito obbligazionario non convertibile, fino a un importo massimo di 350 milioni di Euro, destinato a investitori istituzionali, da quotare nei mercati regolamentari”. La parola chiave è “quotare”.
Tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo Stato che emettono titoli di debito quotati. Lo spirito doveva essere che quelle con una struttura finanziaria complessa devono poter assoldare i migliori professionisti sul mercato, che costano. Ma nella pratica l’effetto è che basta fare le giuste scelte finanziarie. Il 20 maggio 2015, due giorni dopo che Gubitosi aveva convocato i dirigenti per tagliare i loro stipendi, l’agenzia Reuters comunica che la Rai ha avviato il collocamento di un bond da 350 milioni. Addio tetto.
La nuova riforma renziana non si pone il problema: si limita a stabilire che “il consiglio di amministrazione, su indicazione dell’assemblea, determina il compenso spettante all’amministratore delegato”. Quindi decide di fatto il governo, senza limiti. Antonio Campo Dall’Orto può sperare di avere anche lui 5-600mila euro come i predecessori.
Il fatto che il governo abbia deciso di procedere con le nomine usando la vecchia legge Gasparri del 2004 invece che aspettare l’approvazione anche alla Camera della riforma apre poi interessanti opportunità per Campo Dall’Orto. Secondo un’usanza inimmaginabile nel settore privato, i direttori generali della Rai si facevano anche assumere a tempo indeterminato. Quando cambiava il partito al potere, venivano accantonati ma non perdevano lo stipendio. La riforma prevede espressamente che non può essere dipendente della Rai: se anche lo fosse al momento della nomina, prima deve dimettersi e poi accettare la carica di amministratore delegato. Ma la riforma, appunto, non vige ancora. Quindi Campo Dall’Orto in teoria può ancora fare in tempo a farsi assumere.
Dal centrodestra c’è chi suggerisce, come alternativa a Capo dall’Orto, il nome di Giancarlo Leone, attuale direttore di Rai1, attivissimo su Twitter. Sarebbe un direttore generale di transizione in attesa dell’approvazione della riforma e non dovrebbe neppure dimettersi finché restano in vigore le vecchie regole. Ma è una soluzione che per Renzi diventerebbe un’ammissione di debolezza. Vedere Campo dall’Orto prima di partire per il Giappone – il premier rientrerà a nomine fatte – è stato un segnale chiaro. E l’ex manager di La7 e Mtv è così consapevole delle proprie possibilità che nei giorni scorsi, come rivelato dal Fatto, si è fatto rilasciare un parere da un importante studio legale romano per essere sicuro che fosse possibile la trasformazione in corsa da direttore generale ad amministratore delegato quando sarà approvata la riforma. Sarebbe spiacevole trovarsi a guidare la Rai solo per pochi mesi e poi dover lasciare il posto a un altro.
Anche se Campo Dall’Orto dunque sembra sicuro, è tutto ancora aperto, bisogna trovare l’incastro tra le varie tessere, a cominciare da quella del presidente (vedi box qui sopra). Questa sera ad Arcore Silvio Berlusconi si consulterà con i suoi sherpa e prenderà le sue decisioni, lunedì si riunisce la commissione di vigilanza che, con la maggioranza dei due terzi, deve approvare l’indicazione del presidente che arriva dal cda ma di fatto dal governo. Chissà se Campo Dall’Orto – o i suoi sfidanti, Andrea Scrosati di Sky e Marinella Soldi di Discovery – appena arrivati a viale Mazzini rimetteranno il tetto agli stipendi, incluso il proprio.
Il passato consiglia scetticismo.
da il Fatto Quotidiano del 2 agosto 2015
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Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Premio Film Impresa è pronto a tornare per il terzo anno consecutivo. La conferenza stampa di presentazione avrà luogo il 17 marzo, alle 11, alla Casa del Cinema di Roma a Villa Borghese. Il Premio - la cui terza edizione si terrà il 9, 10 e 11 aprile sempre alla Casa del Cinema - è un’iniziativa ideata e realizzata da Unindustria con il supporto di Confindustria. Divenuto ormai un vero hub culturale e luogo d’incontro di riferimento, il Premio ha l’obiettivo di valorizzare, esaltare e comunicare i valori dell’impresa e delle persone che vi lavorano. Creatività, visione, coraggio, tradizione, appartenenza al territorio, innovazione e sostenibilità sono i protagonisti dei prodotti audiovisivi, dei cortometraggi e dei mediometraggi candidati che saranno selezionati da una giuria presieduta quest’anno da Caterina Caselli.
Alla conferenza stampa di lancio, che annuncerà i nomi di tutti i componenti della giuria e anche il dettaglio del programma degli eventi del Pfi, prenderanno parte il presidente del Premio Film Impresa Giampaolo Letta, il presidente di Unindustria Giuseppe Biazzo, il direttore artistico del Premio Mario Sesti e la presidente di Giuria Caterina Caselli.
Parteciperanno inoltre i rappresentanti delle aziende partner, e interverrà anche Lorenza Lei, responsabile Cinema e Audiovisivo della Regione Lazio. La terza edizione del Premio Film Impresa si avvale del patrocinio di Regione Lazio, Roma Capitale e Rai Teche, e della collaborazione di Confindustria, Anica, Una e Fondazione Cinema per Roma. L'iniziativa è realizzata in partnership con Almaviva, Edison Next, Umana e UniCredit, e con il supporto tecnico di Spencer & Lewis, D-Hub Studios, Ega e Tecnoconference Europe. Media partner dell'evento sono Il Messaggero, Prima Comunicazione e Adnkronos.
Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano afferma di aver colpito un "centro di comando appartenente alla Jihad islamica palestinese" a Damasco. L'attacco dimostra che Israele "non permetterà che la Siria diventi una minaccia per lo Stato di Israele", ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, aggiungendo che nella lotta "al terrorismo islamico contro Israele, non sarà dispensato né Damasco né altri".
Catania, 13 mar. (Adnkronos) - "La politica tende a minimizzare il ruolo dei clan all'interno delle comunità e della capacità che hanno di raccogliere consensi. Quindi c'è una minore consapevolezza in questa direzione. Farsi condizionare significa mettersi a disposizione" dei clan. E' il monito del Presidente della Commissione regionale antimafia all'Ars Antonello Cracolici conversando con i giornalisti a Catania dove oggi si è trasferita la Commissione per le audizioni. "La politica se si mette a disposizione - dice - è inevitabilmente subalterna alla criminalità".
Catania, 13 mar. (Adnkronos) - "Oltre il 20 per cento dei comuni del catanese sono coinvolti in fatti di infiltrazioni, è un dato di fatto. Comuni sciolti per mafia, o per cui è stato deciso l'accesso. O per il quale verrà chiesto ei prossimi giorni, come a Ramacca". E' il grido d'allarme lanciato dal Presidente della Commissione regionale antimafia all'Ars, Antonello Cracolici, a margine delle audizioni a Catania. "E' evidente che c'è una condizione sulla quale bisogna guardare con molta preoccupazione quello che sta avvenendo nei territori - dice parlando con i giornalisti-Anche perché la mafia ha cambiato pelle, ha cambiato persino anagrafe".
Il Cairo, 13 mar. (Adnkronos/Afp) - Egitto, Hamas e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) hanno accolto con favore le dichiarazioni di Donald Trump secondo cui “nessuno espellerà i palestinesi” dalla Striscia di Gaza, come il presidente americano ha dichiarato ieri alla Casa Bianca, in risposta a un giornalista che gli chiedeva se il piano di “espellere i palestinesi da Gaza” fosse stato menzionato durante le sue discussioni con il primo ministro irlandese, Michael Martin, in visita a Washington.
L'Egitto "afferma che questa posizione riconosce l'importanza di evitare il peggioramento delle condizioni umanitarie nella regione e la necessità di lavorare per soluzioni giuste e durature per la causa palestinese", ha affermato in una nota il Ministero degli Esteri egiziano.
Da parte sua, il portavoce di Hamas Hazem Qassem ha affermato che "le dichiarazioni di Trump sulla mancata espulsione dei residenti di Gaza sono state ben accolte". E apprezzamento è stato dichiarato anche dall'Olp: "Apprezziamo le dichiarazioni del presidente americano che conferma che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono obbligati a lasciare la loro patria", ha scritto su X il segretario generale Hussein al-Sheikh.
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - "L’anno scorso la Commissione scientifica ed economia del Farmaco dell'Aifa ha riclassificato, dalla diretta alla convenzionata, le gliptine, farmaci antidiabetici di largo utilizzo. È stata fatta questa riclassificazione sulla base di criteri scientifici. È una classe omogenea di farmaci, ci sono evidenze scientifiche, si è fatta un’analisi dell’impatto e a distanza di un anno possiamo dire che l’esperimento comunque ha funzionato. Effettivamente questi farmaci sono farmaci antidiabetici oggi molto utilizzati, sono di largo impiego, hanno un profilo rischio-beneficio estremamente favorevole, ma il fatto che si siano riclassificati ha portato anche a una maggiore aderenza terapeutica". Lo ha detto il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Robert Giovanni Nisticò nel suo intervento da remoto oggi, al ministero, per l'evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma' promosso dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato.
"Il diabete - ha proseguito Nisitcò - è una patologia comunque cronica, che può portare a molte complicanze, quindi favorire l’aderenza, attraverso appunto canali distributivi che vadano verso la prossimità del paziente, è sicuramente una cosa importante. Quindi anche la rivalutazione della farmacia, della farmacia territoriale per raggiungere meglio il paziente, quindi della medicina di prossimità, della sanità di prossimità è sicuramente una cosa importante. Certamente il fatto di aver riclassificato farmaci, da un contenitore già molto sotto pressione a un altro, ci deve dire che sicuramente da un lato possiamo alleggerire quello che è il peso, la pressione del payback farmaceutico, dall’altro però ci sono nuove criticità che dobbiamo tutti insieme affrontare, ad esempio l’impatto sulle Regioni".
L'Aifa "rimane disponibile in tutto questo scenario e noi siamo chiaramente un’istituzione pronta a dialogare con tutti, per far sì che queste disposizioni della Legge di Bilancio abbiano poi la loro finalità, da un lato verso la salute dei pazienti, dall’altro anche verso la sostenibilità del Ssn" ha concluso.
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - "I numeri parlano chiaro: 9 ,7 milioni di risparmi per il Ssn, e da maggio a novembre 2024 le farmacie territoriali hanno dispensato oltre 2 milioni di confezioni di farmaci antidiabetici a base di gliptine. Tradotto in termini significa milioni di accessi in più a farmaci essenziali, senza file in ospedale, senza doppi passaggi in farmacia per la distribuzione per conto, senza barriere burocratiche. Abbiamo semplificato la vita a centinaia di migliaia di pazienti diabetici, soprattutto anziani, che oggi possono ritirare le loro cure direttamente nella farmacia sotto casa". Lo ha detto il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, nel suo intervento oggi, al ministero, per l'evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma' .
"L'impatto economico del provvedimento è altrettanto significativo -sottolinea Gemmato - La spesa a carico del nostro Ssn è risultata inferiore rispetto a quanto si sarebbe verificato con la precedente modalità di distribuzione diretta e per conto, con un risparmio per il Ssn di 9,7 milioni di euro". Gemmato sottolinea l'importanza di quella che lui stesso definisce "una riforma gentile" che "consente al cittadino un migliore accesso alle cure e, di conseguenza, una migliore aderenza terapeutica", oltre "ad un risparmio per le casse dello Stato, mi sembra un ottimo risultato".
Sulla possibilità che altre classi di farmaci vengano riclassificate, come è successo per gli antidiabetici, Gemmato non ha dubbi: "Noi contiamo di spostare pezzo per pezzo - spiega - anno per anno, così come la legge prevede, con un monitoraggio di spesa, la maggior quantità possibile di farmaci, ma proprio per andare incontro al cittadino, ridurre il disagio, migliorare la compliance, l'adenza terapeutica". Ci sono alcuni farmaci che "ovviamente richiedono una dispensazione in ambiente protetto e controllato, quale è quell'ospedaliero, e quelli evidentemente non vengono toccati. Per tutta un'altra serie di farmaci, invece, si apre la possibilità dello spostamento e quindi anno per anno, con una logica di medio e di lungo periodo, sposteremo compatibilmente con il bilancio dello Stato, quindi tenendo sempre sotto controllo i conti dello Stato, sposteremo quante più categorie possibili".